Kaurismaki aveva già ben definito il suo stile da diverse pellicole, magari con alcune (diverse) eccezioni, però insomma, i seguaci o in generale i cinefili lo associavano già da parecchio a quei colori pop saturi, a quella narrazione grottesca, ironica, minimale ma molto sentita a cui ci ha abituati, ecco che "Nuvole in viaggio" aggiunge un ulteriore tassello alla sua evoluzione stilistica, cadendo non troppo lontano dall'albero ma implementando alcune variazioni che lo possono rendere uno dei film più unici del regista. Ci sono gli elementi più tipici, basti vedere l'immediato inizio con una splendida canzone al piano dai toni malinconici o ancora qualche altro intermezzo musicale con la musica finlandese che gli piace tanto regalarci, o ancora una fredda rappresentazione di Helsinki, qui tratteggiata in tutto il suo fascino notturno, con un blu notte gelido, tuttavia anche lo sguardo meno attento sicuramente noterà in questa pellicola una componente stilistica ancora più asciutta rispetto alle sue opere precedenti, qui Kaurismaki gioca molto col travalicare i generi, probabilmente la pellicola è un dramma sociale e sentimentale, per buona parte della durata sembra allontanarsi dalla sua velata ironia, concentrandosi su una componente quasi neorealista, con la storia dei due coniugi che a turno perderanno il lavoro e vedranno sfumare tutti quei progetti di benessere che avevano fatto fino a poco prima, l'autore ci presenta una discesa nel dramma toccando la componente grottesca molto saltuariamente, ci sono solo episodi isolati, come Lauri che torna a casa e casca dritto dritto, sfinito dalla pressione emotiva di non aver trovato lavoro e dalla brutta notizia di essere mezzo sordo, una caduta che per la dinamica può ricordare una pellicola slapstick del periodo muto, oppure l'episodio del cuoco, che forse è il personaggio più strambo del film, che si ubriaca e si trasforma in Michael Myers all'interno della cucina, ma sono eccezioni abbastanza ben evidenziate e quasi distanti dallo stile complessivo che invece si avvicina a quel dramma sociale fatto di perdita, elaborazione e voglia di rivalsa, è così che l'autore ci porta in un contesto nero, in cui il mercato del lavoro è in crisi, anche una figura come quella di Ilona, donna in gambissima, caposala nel ristorante migliore di Helsinki è costretta a trattare e ritrattare, piegarsi a sedicenti agenti che vogliono essere pagati per trovare un lavoro che neanche andrà a buon fine nel lungo periodo, personaggi che sembrano aver perso la speranza, come il marito stesso o la vecchia proprietaria, che verranno trascinati dalla voglia di rivalsa di Illona, in una capitale decadente nella quale nessuno va più a mangiare fuori per la diffusa povertà, e molte linee del tram rimangono inutilizzate, uno specchio del cambiamento dei tempi in una nazione che aveva vissuto nella speranza dopo la fine della guerra.
Kaurismaki come nelle sue altre opere ci regala delle componenti registiche e fotografiche straordinarie, caratterizzate dalla tipica recitazione apatica, quasi catatonica, di personaggi persi in un mondo ostile, ostruiti dall'incomunicabilità che sia delle persone vicine in cerca di riscatto che degli squali che provano a fargli le scarpe, non rinuncia ai suoi amati colori pop in un'ambientazione quasi tutta notturna, caratterizzata dal blu notte del cielo e dal verde acqua delle pareti, con il rosso che diventa elemento di rottura - il cappotto di Ilona - creando una metropoli estremamente suggestiva e un film in cui fa trionfare la determinazione e la speranza, inserendosi a gamba tesa nelle tematiche sociali e anticipando anche alcune sue opere future come "Le Havre" e "L'altro volto della speranza", ma prendendo già spunto dalla precedente trilogia, quella del proletariato, è un film di transizione stilistica, ma nella sua asetticità l'ho trovato uno dei migliori dell'autore.