Forse la pellicola d'avanguardia per eccellenza del cinema americano, avantissimo per l'epoca di realizzazione, l'esordio della Deren è un incubo ad occhi aperti che in futuro avrà un enorme influenza sugli autori surrealisti, un cortometraggio che nei quattordici minuti di durata si diverte a giocare con la sfuggevolezza dei significati e le tecniche all'avanguardia per il periodo, è un film molto simbolico in cui le interpretazioni si sprecano, vi sono tanti simbolismi ricorrenti, il fiore, la chiave, gli specchi, quell'oscura figura incappucciata, forse una morte che prima che scocchi la tua ora ti mostra il tuo stesso volto, la Deren usa un montaggio lontanissimo dalle concezioni del cinema del periodo, ripetendo la stessa azione più volte, ci sono degli accenni di montaggio ellittico con la figura della protagonista che si muove in un tempo indefinito all'interno di questo pomeriggio da incubo, tante anche le soluzioni visive, dalla moltiplicazione del personaggio della protagonista all'uso di una soggettiva con la camera mobile, passando per delle splendide panoramiche a schiaffo, fino a dettagli strettissimi, il tutto respirando un'atmosfera solenne e rarefatta, in un pomeriggio soleggiato di apparente quotidianità.
La spiegazione più accreditata è quella di una rappresentazione del suicidio, possibile, ma sfuggevole, come ogni altra ipotesi, è un film in cui ogni significato si prova a dare rimane con dei punti in sospeso, non vi sarà mai una spiegazione univoca, ma questo non importa più di tanto, la Deren regala uno dei primi rari esempi di cinema esperienziale - nel frattempo c'era anche Bunuel che si stava divertendo parecchio - un tipo di opera in cui è più bello gustarsi lo splendore di ogni singola sequenza, rimanere folgorato da soluzioni visive impensabili per l'epoca, farsi risucchiare dal mood inquietante e magnetico, vivere le suggestioni, un giorno Lynch, ma anche Anger, Jodorowsky e compagnia bella ne prenderanno ispirazione.