Minimale nella narrazione e nella messa in scena, ma è uno dei film più stratificati di Kiarostami, vitale, filosofico, riflessivo, un film sulla morte che riesce a trasmettere una forte voglia di vivere, una riflessione sul suicidio in rapporto all'etica, alla religione, all'esistenzialismo, con un protagonista, il signor Badi di cui non sappiamo nulla, ma intuiamo facilmente dopo pochi minuti le sue intenzioni, vuole farla finita e sta cercando un complice che lo seppellisca quando sarà il momento, promettendo anche una grossa ricompensa in denaro, è così che inizia questo road movie, che poi tanto road movie non è perché va bene che è ambientato sulla strada ma il protagonista fa girotondo per gli stessi quattro posti per tutto il film, in cui quest'uomo prova a convincere vari personaggi ad aiutarlo, ognuno di essi ha una reazione diversa alla sua proposta, dal ragazzino militare, ancora troppo acerbo, nonostante sia già stato in guerra - e qui potrebbero nascere importanti riflessioni sul valore della vita in tempo di guerra, ma Kiarostami ci lascia soltanto una suggestione - che sembra spaventato dalla proposta reagendo in maniera puerile, arrivando al religioso che rifiuta la proposta e cerca di dissuadere il protagonista, argomentando con i principi del Corano secondo il quale non possiamo far del male al nostro corpo perché ci è stato donato da D.io, ed è interessante la risposta di Badi, che fa sorgere diversi interrogativi riguardanti il rapporto tra il suicidio e le sacre scritture, fino ad arrivare al dialogo cruciale, quello con Bagheri, questo anziano tassidermista che lavora al museo di scienze naturali, che accetta malvolentieri la proposta di Badi perché ha bisogno di soldi per curare il figlio malato, che durante il tragitto racconta la sua novella, del suo quasi tentato suicidio e della riacquisita voglia di vivere grazie appunto al sapore della ciliegia in un momento dal forte impatto emotivo che fa riemergere una subdola ma gradita voglia di rivivere appieno, e si vede già dalla reazione del protagonista, il finale rimane aperto, ma la richiesta di tirargli qualche sassolino nel caso fosse sveglio fa molto ben sperare, specialmente dopo il monologo di Bagheri.
Fondamentalmente tutto ambientato nella macchina del protagonista, in cui si svolgono la maggior parte dei dialoghi e in queste lande iraniane in cui domina la componente cromatica gialla, dai campi ingialliti fino ai cantieri pieni di sabbia, è un film molto magnetico, come spesso accade per Kiarostami il dialogo riesce a fare da padrone e risulta estremamente evocativo, la cosa che stupisce è l'equilibrio che il regista riesce a dare tra la riflessione e l'emozione, rendendolo un film che colpisce sia molto di pancia col suo mood speranzoso e vitale, ma che allo stesso tempo riesce a stimolare il pensiero critico nei confronti delle questioni tirate in ballo, però l'affresco finale è una realtà migliore di quella con cui si era iniziato il film, o meglio, la realtà non è cambiata, è il punto di vista ad essere cambiato.