Cromwell dirige un buon dramma carcerario, con al centro le vicende di Marie, una giovane donna finita in galera in maniera abbastanza rocambolesca, accusata come complice di una rapina compiuta dal marito, e incinta, è un film amaro e soffocante che mette in risalto un sistema marcio che al posto di rieducare e permettere ai detenuti di ricominciare una nuova vita li risucchia in una spirale di criminalità dal quale sembra impossibile uscire, una sequenza di avvenimenti terribili accadono nella vita di Marie, già rimasta vedova per la morte del marito, con soltanto la madre come parente stretto, una volta nato il bambino sarà costretta a darlo via sia per le regole del carcere che non permettono di tenerlo, sia per la madre che viene costretta dal compagno a non prenderlo in affidamento, una delusione che si ripercuote gravemente, ma l'inferno di Marie continua nelle mura della prigione, dalla commissione stessa che non le concede la libertà condizionata nonostante l'evidente buona fede e il bisogno di uscire, al personaggio della Harper, guardia carceraria corpulenta e spietata che diventa il principale villain del film, di una cinicità e una freddezza unica, un'ombra minacciosa che diventa pedante nei confronti della protagonista e delle altre detenute, con cui quantomeno ha una discreta complicità, e raggiunge il massimo della cattiveria nella sequenza riguardante il gattino trovato da Marie, con conseguente rivolta ed isolamento, radendola anche contro la sua volontà.
Il finale risulta ancora più nero e pessimistico, con la volontà di ferro di Marie che viene spezzata dalle continue sofferenze e peripezie della vita carceraria, riattivando quel loop che la risucchierà probabilmente a vita, è un film che lavora molto sulla pancia dello spettatore, creando anche degli schieramenti fin troppo netti, le istituzioni e il sistema sono presi costantemente sotto mira, con la sola eccezione della direttrice che ancora crede nell'umanità e vuole un trattamento decente per le sue detenute, la regia di Crowmell è efficace nel sottolineare questa sensazione di non avere una vita d'uscita, con l'utilizzo di inquadrature tendenzialmente claustrofobiche, date anche dall'ambientazione della prigione o sottolineando l'imponenza della Harper, complici anche i suoi lineamenti duri, il regista è abile anche nel gestire i tempi, creando una forte tensione emotiva che sembra far impennare il ritmo nei momenti chiave, risultando estremamente coinvolgente, nel complesso è un buon film.