Bresson porta in scena il famoso episodio del processo a Giovanna D'Arco, ovviamente, è impossibile non fare i conti con l'illustre predecessore, quello di Dreyer, che il sottoscritto, ma non solo, considera tra alle vette del cinema di tutti i tempi, l'opera di Bresson nel narrare lo stesso soggetto risulta essere efficacemente diversa, distaccandosi non tanto come temi quanto nell'estro stilistico, se Dreyer caricava le immagini e riusciva a puntare sull'emotività e sul sentimento, dato dall'interpretazione istrionica della Falconetti e dai primissimi piani che catturavano anche la più piccola lacrima, Bresson invece sembra dare più risalto alla componente cervellotica del processo, per ovvi motivi presenta molti più dialoghi, e la messa in scena risulta estremamente asciutta, come già ci aveva mostrato nelle opere immediatamente precedenti, è così che tra le mura spoglie del castello di Rouen avviene il famoso processo, la narrazione tendenzialmente episodica procede con le continue udienze, Bresson si concentra molto sul dualismo tra la personalità di Giovanna D'Arco, giovane ormai scomoda alle autorità francesi, venduta agli inglesi, che viene processata per stregoneria e gli ieratici e impassibili giudici dell'inquisizione, l'autore sembra farne un gioco di logica, in cui, come in alcune opere del passato - "Diario di un curato di campagna", "La conversa di Belfort" - sembra voler approfondire la fede e il suo rapporto con la natura umana, rappresenta una Giovanna D'Arco del tutto piegata al volere divino, che entra in contatto sia con D.io che con gli altri santi senza avere l'intermediazione della chiesa, cosa che sembra infastidire i giudici che si considerano gli unici portatori della verità divina in terra, è qui che l'autore mostra il paradossale pensiero ecclesiastico, ben lontano dalle modalità della fede più pura, incontrastata, incancellabile dalle volontà della giovane eroina, mostra come vi è questa sorta di scambio di ruoli, con Giovanna considerata eretica che fa di tutto per applicare le volontà divina e gli ecclesiastici che fanno di tutto per dissuaderla per i loro meri interessi personali, ma d'altronde, sono loro che detengono il potere e il risultato è scontato.
Interessante come l'autore si sofferma sulla volontà di ferro di Giovanna D'Arco, piena di tentazioni, capace di resistere alle atroci sofferenze - che questa volta non vengono mostrate, a differenza del film di Dreyer - ma soprattutto totalmente disposta ad accettare il suo destino, qualunque esso sia, dato che la fede incondizionata la porta a concepirla come una volontà divina, Bresson è abile a ridurre tutto all'osso, con la sua regia asciutta che era già diventata un marchio di fabbrica, basandosi prevalentemente su campi e controcampi e qualche dettaglio particolarmente attento, come le mani sulla bibbia prima del giuramento o l'occhio indiscreto che guarda tra le crepe della cella, anche la sequenza finale, viene totalmente privata di una qualsivoglia spettacolarizzazione, riducendo il rogo a degli statici campi e controcampi con gli sguardi impassibili degli ecclesiastici convinti di essere nel giusto e qualche urlo fuoricampo a sottolineare la sofferenza di una persona devota, ma comunque umana.