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PARTHENOPE regia di Paolo Sorrentino

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Invia una mail all'autore del commento williamdollace     10 / 10  26/10/2024 22:27:51 » Rispondi
Quale amore. Quanto amore. Occhio aperto/occhio chiuso. Difficile approcciarsi a un'opera così sfuggente eppure profondissima, forse l'opera più matura, di un Sorrentino che ha fatto un passo in più per approdare a un cinema sempre suo ma se possibile ancor più personalissimo, ironico e leggero solo come la vita sa essere in piccoli istanti, anche nella sua tragicità. "Se non piangete il film non funziona" ha detto Paolo. E il film funziona, perché la sensazione all'uscita è quella indescrivibile di rimanere senza parole ma con nodi in gola senza nome, nello stomaco, nelle viscere interiori, nei tumulti interni, con etichette che dal film si annodano alle vicende di ognuno negli archivi indulgenti della memoria. Ogni parte del film meriterebbe un approfondimento critico. Ma il tempo, filo rosso, e la bellezza, non quella grande di Roma, ma quella grandissima di Napoli, del sole, della luce, del mare. Inizia nel 1950 e percorre la vita di Parthenope, ma quale amore dicevamo, quello che occorre per sopravvivere, come quello per il cinema, sembra ricordarci Sorrentino, è il vento o sono solo lacrime (?), è un viaggio nel tempo, è la memoria del tempo perduto e poi ritrovato, è l'estasi di una scorribanda nel passato e nel presente, lo stupore, l'indefinibile, l'assoluto, fastoso trascorrere del tempo, la giovinezza, ingombrante come solo essa può essere, antropologica solo come il saper guardare, osservare, carpire e restituire, nell'intento di sopravvivere. "Era già tutto previsto?" Asssolutamente no, un inchino doveroso, prima di tentare di snocciolare le vertigini della bellezza che colpiscono al ventre come pugni anzitempo. Il suicidio? La vita? Il cinema? No, il miracolo, doppio, triplo, carpiato, come la tesi e l'ipotesi, il cinema, sì, il cinema dei miracoli.