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IL POTERE DEL CANE regia di Jane Campion

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stratoZ     7½ / 10  29/10/2024 12:40:04 » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Il western esattamente come me lo aspettavo da Jane Campion, una pellicola che ha svariati modelli di riferimento, dalle correnti crepuscolari, in cui vengono a cadere gli ideali pressoché eroici e mascolini del western classico a reminiscenze di alcuni western proto-revisionisti in cui oltre alla rivalutazione storica sui nativi nascevano riflessioni sul ruolo della donna nel contesto patriarcale del west, mi vengono in mente opere come "Johnny Guitar" di Ray o "Forty Guns" di Fuller, arrivando fino a "Broken Arrow" di Daves, è qui che la regista si occupa di decostruire la figura del patriarca tirannico, scavando nel personaggio, spogliandolo di tutte le apparenze che vuole ostentare, denunciando una sessualità repressa che lo rende adirato e misogino, ma anche figlia di una mentalità acquisita da anni e anni di influenza culturale patriarcale.

La sceneggiatura narra di questa famiglia di ricchi proprietari di bestiame, capeggiata da Phil, che durante una migrazione delle mucche incontra Rose, di cui George, il fratello meno duro dei due si innamorerà e le chiederà di sposarlo, da qui, dopo il matrimonio la narrazione si concentra sulla convivenza tra Rose, George e Phil, la quale presenza sembra essere pedante e coercitiva, causando non pochi problemi alla libertà personale degli altri membri della famiglia nonché crisi emotive in Rose che si rifugerà nell'alcolismo, buona parte del film riguarda le abitudini mascoline di Phil, abituato a castrare i tori a mani nude, rude e apparentemente incapace di provare empatia, continuamente accusatorio nei confronti di Rose, che secondo lui ha sposato George solo per il suo denaro e nei confronti di Peter, figlio di rose dalle maniere effeminate che studia medicina e viene spesso preso di mira da Phil, perché non lo considera un vero uomo, neanche a dirlo qui la Campion concentra buona parte della critica del film denunciando le maniere e la mentalità arretrata di Phil, col suo orgoglio mascolino che nella seconda parte verrà progressivamente a decadere, mostrando anche la sua sessualità repressa, col finale che diventa un forte dualismo tra la forza mascolina e l'intelletto del ragazzino, creando un quadro finale di un western anche abbastanza atipico che sfocia in un dramma sociale attualissimo, come in "Holy smoke" in cui la regista aveva tolto la carica mascolina dal personaggio di Keitel, qui la mina su un Cumberbatch se possibile ancora più chiuso e convinto dei suoi ideali, ma con una grande fragilità di fondo.

Messa in scena sublime, ormai la Campion non mi stupisce neanche più, dalla cura delle ambientazioni alla fotografia, dalle splendide recitazioni, la Dunst ancora una volta molto convincente e matura, Plemmons era già perfettamente a suo agio nei ruoli di sottomissione - in cui raggiungerà l'apice, finora, nella sua ultima fatica "Kinds of kindness" - e ovviamente Cumberbatch di cui ho già parlato abbastanza, poi vi sono alcuni movimenti di macchina che sono una gioia per gli occhi, dalle carrellate all'interno della casa - in una delle prime sequenze - in cui si vedono le silhouette degli oggetti e gli esterni in sottofondo, a quel 360° nel fienile tra Phil e Peter, di altissima fattura.