Bel thriller di Litvak, che realizza un film colmo di tensione con una regia particolarmente ispirata, fresca e dinamica, anche abbastanza inusuale per gli standard del tempo, prendendo il punto di vista di questa giovane donna, ricca ereditiera di un imprenditore che ha costruito un impero farmaceutico, costretta a letto da una malattia cardiaca e che può comunicare all'esterno solo tramite telefono, il film non si perde in lungaggini e già nei primi minuti inizia ad esplicare il mistero, tramite il centralino la donna verrà messa in contatto con un numero in cui sente due persone progettare un omicidio, da qui inizia un intreccio anche abbastanza complesso che tirerà in ballo diverse persone, andando anche a scavare nel passato dei personaggi, indagando tramite flashback e i racconti delle persone dall'altro capo del telefono sulle vite e sugli scheletri nell'armadio dei caratteri in gioco, passando dai momenti in cui la protagonista e suo marito si sono conosciuti, anni addietro, a tempi più recenti in cui il marito, sofferente per il suo essere utilizzato come burattino dal padre di lei che gli ha dato un posto manageriale di prestigio nell'azienda, tenta a modo suo di prendersi una certa indipendenza e mostrare il suo valore, arrivando però a compiere anche atti un po' meno leciti, è un tipo di intreccio a puzzle che pian piano ricollega i pezzi, comprendendo anche una buona dose di visione soggettiva dato che i flashback a cui assistiamo sono per mezzo dei racconti degli altri personaggi, una sorta di Citizen Kane al telefono, scherzo dai.
Litvak è abile nel gestire la suspense, giocando tanto con le intenzioni dei personaggi, con i doppi giochi e complotti nascosti, fino ad arrivare ad un finale estremamente teso, che ritengo la sequenza meglio riuscita del film, in cui esplode la bellezza registica, con soluzioni che rimandano alla suspense hitchcockiana, con la protagonista che costretta a letto non è consapevole dell'uomo che si è infiltrato a casa sua, mentre lo spettatore si, l'uso del pianosequenza con la camera che si muove per la casa e l'ombra che accresce il terrore, ma la regia comunque propone situazioni valide per tutto il film, dall'uso efficace del fuori campo, con la camera che va in giro per la casa desolata mentre la protagonista parla al telefono per sottolineare il suo stato di assoluta indifendibilità e fragilità, una sensazione di pericolo che si accresce continuamente e un personaggio inerme a letto che può solo sperare e null'altro.
Grandi interpretazioni, da un Lancaster combattuto e con la coscienza sporca, che ho trovato inespressivo al punto giusto, ma nel senso buono, credo sia una cosa voluta proprio perché ha tanto da nascondere e cerca di far trasparire il meno possibile, alla Stanwyck, che offre una grande performance, tra il linguaggio del corpo "debilitato" a causa della malattia, che fa trasparire tutta la fragilità, all'immensa preoccupazione che prova.