L'ultima opera di Victor Erice potrebbe rappresentare il suo testamento artistico, lontana tematicamente dalle opere che lo hanno reso famoso, in cui approfondiva l'infanzia e mostrava attenti processi di formazione, qui invece va totalmente all'opposto approfondendo personaggi ormai avviati verso la parte finale della propria vita, anche se, continua a mantenere una forte componente nostalgica, riportando la tematica del ricordo, del vissuto, dei bei giorni, ancora una volta su schermo e creando una forte e impattante metafora cinematografica, nemmeno difficile da interpretare, anzi, l'autore non fa tanti giochi di parole, tramite il racconto ed in maniera estremamente diretta mostra la forza intrinseca del cinema nel racchiudere le memorie che sembravano ormai ampiamente seppellite, riscopre un passato remoto per alcuni offuscato per altri cancellato, il tutto diventa un solenne inno all'arte e alla persistenza di essa, l'uomo è fatto di carne e va a decadere, l'arte se ben conservata rimane una testimonianza concreta e continua nel tempo.
Il soggetto riguarda questo attempato regista che viene contattato da un programma televisivo che parla di sparizioni sospette e casi non risolti, che riporterà in voga la scomparsa dell'attore Julio Arenas, avvenuta durante le riprese dell'ultimo film che stavano girando, oltre vent'anni prima, i due erano anche migliori amici, tutta questa prima parte mostra il regista che torna sui suoi passi, sui luoghi vissuti, a parlare con gente che non vedeva da tempo con anche l'entrata in scena di Max, vecchio collaboratore del protagonista che conserva ancora le pellicole come fossero dei cimeli, tra cui appunto il girato incompleto del film che stavano realizzando quando è scomparso Julio.
La seconda parte prende toni più toccanti, grazie alla popolarità del programma viene ritrovato Julio, da molti creduto ormai deceduto, che lavora come inserviente in una casa di riposo e sembra aver perso la memoria, nonostante le numerose visite di Miguel ed altri parenti, sembra non ricordare assolutamente nulla, è qui che il regista ha la geniale trovata di fargli tornare la memoria tramite il mezzo della persistenza per eccellenza, riesumando la pellicola impolverata del girato del suo vecchio film in una sequenza che diventa quasi commovente, uno scambio di sguardi fortissimo, che si conclude con i primi piani, sia dell'attore nella pellicola, che nell'attore nella realtà, giocando molto coi significati metacinematografici di queste persone ormai dimenticate da un mondo moderno e che corre sempre di più ma ancora impresse nella pellicola che veicola la loro presenza.
Dallo stile registico dilatato, il film si prende i suoi tempi e trasmette una certa riflessività della condizione dei personaggi, Erice comunque regala sequenze che sono una gioia per gli occhi, basti vedere quel pianosequenza ad avanzare con i due amici che imbiancano una struttura e i panni appesi che ogni tanto impallano la camera, visivamente stupendo, così come la componente fotografica, realistica all'esterno, fatta di tramonti tenui e colori un po' raffreddati ma molto contrastata negli interni, un linguaggio semplice, una metafora diretta che non si perde in particolari cervellotici ma arriva diretta e travolgente allo spettatore, specchio del cinema di Erice che mantiene una componente stilistica coerente con la sua opera precedente.
Per fortuna i miracoli al cinema continuano, anche dopo la morte di Dreyer.
adrmb 12/11/2024 16:57:01 » Rispondi Ciao, dove l'hai visto?
stratoZ 12/11/2024 18:46:12 » Rispondi Ciao, l'ho scaricato, non si trova in italiano, ho visto in originale con i sottotitoli
adrmb 13/11/2024 15:24:13 » Rispondi Ahah, quello l'avevo capito, ma dove? Telegram?
stratoZ 13/11/2024 20:10:09 » Rispondi No, piratebay o 1337x, non ricordo da quale dei due