Partiamo dal presupposto che adoro De Palma, regista che ritengo tecnicamente superbo, che a cavallo di diversi decenni ci ha regalato opere di indubbio valore, con i dovuti difettucci, come ad esempio una scrittura non sempre ispiratissima, spesso basilare, che però è stata quasi sempre compensata da una tecnica e un'estetica agli apici, semplicemente, guardando diverse sue opere, godo, soprattutto visivamente, "Carrie" è uno di quei casi che non fa eccezione, anzi, è probabilmente tra i suoi film meglio scritti anche grazie al soggetto, trasponendo per la prima volta un romanzo di King, il regista realizza uno dei suoi film più famosi a cui dona un'estetica di assoluto valore oltre ai significati già intrinsechi nel romanzo.
Il soggetto nella sua semplicità contiene molti sottotesti, dalla critica sociale riguardante l'ambiente scolastico pervaso di bullismo a quella al bigottismo religioso vissuto in casa da Carrie e simboleggiato in maniera estremizzata dalla madre, Carrie è una giovane ragazza nella morsa di questi due problemi che minano la sua vita, non sentendosi minimamente integrata nel contesto scolastico e subendo le esagerate pressioni della madre a casa, sembra un incubo senza fine, nel quale spunta una flebile speranza, quello del ballo della scuola, a cui viene invitata da uno dei ragazzi considerati più affascinanti, probabilmente la serata del ballo per Carrie è una delle più belle della sua vita, nonostante la forte opposizione della madre, sull'orlo dell'esaurimento per questa uscita della figlia e per come si è vestita, Carrie sembra vivere un sogno ad occhi aperti quando vince il premio, assieme a quello che sembra stia per diventare il suo nuovo ragazzo, di miglior coppia del ballo, ma come tutti sappiamo le cose non andranno per il verso giusto, dato il pesante scherzo architettato da alcuni compagni e Carrie scatenerà i poteri paranormali che aveva già manifestato in precedenza - e considerati atti del demonio da parte della madre - causando una vera e propria carneficina.
La prima parte è quella che risulta più contenuta, e fatta prevalentemente di dialoghi che mostrano i contesti in cui Carrie è costretta a vivere, e anche qui De Palma mostra già una tecnica registica straordinaria, basti vedere la prima sequenza, quella nella doccia pubblica in cui Carrie avrà la sua prima mestruazione e non saprà nemmeno cos'è, dato che la madre l'ha sempre tenuta all'oscuro di tutto, con la camera che vaga libera tra i corpi nudi delle giovani, oppure mi viene in mente la scena del confronto con la madre quando torna a casa, con la regia che fa posizionare Carrie a ginocchioni e la madre imponente col vestito nero, appena tornata dal suo giro in cui andava a predicare, dando una forte sensazione di soffocamento, ma anche sottomissione e con questa figura che sembra prendere il sopravvento sulla figlia.
Nella seconda De Palma invece decide di scatenarsi un po' di più, accrescendo la componente virtuosa della sua regia e regala sequenze di assoluta bellezza, vogliamo parlare della scena del ballo con la camera che viaggia velocissima con continui 360° attorno ai protagonisti? O della sequenza subito dopo, quella della premiazione, diversi minuti in slow motion che oltre alla bellezza formale accrescono esponenzialmente la tensione, sfruttando un meccanismo hitcockiano - omaggiato più volte anche qui, ma De Palma è un vero e proprio discepolo del maestro del brivido - che mostra spesso il secchio pieno di sangue che traballa e sta per cadere sulla povera Carrie, momento di altissimo cinema, arrivando poi alle sequenze di distruzione tra split screen, carrellate ed effetti pirotecnici, fino alla sequenza finale di Carrie che torna a casa, momento di terrore puro con la madre nascosta dietro la porta - quanto è bella quell'inquadratura della soffitta santo cielo - e tutto l'inquietante set fatto di candele che ha montato, per non parlare della morte della madre nella stessa posizione del crocifisso inquietantissimo che tengono nello sgabuzzino, un incubo che trasmette tutta la componente macabra del bigottismo e di un rapporto malato e morboso nei confronti della religione.