Uno dei film più sottovalutati di Haneke, in cui continua con la sua poetica pessimista e nichilista, questa volta realizzando un'opera dal sapore apocalittico, creando un contesto interessante in cui porta l'uomo alle sue necessità più primordiali, facendo emergere tutta la cattiveria e l'egoismo insite nell'animo umano, lo fa senza spiegare più di tanto le cause o gli eventi esterni, mettendo lo spettatore a dura prova fin da subito con quella scena iniziale che è già un piccolo shock di per se, con l'omicidio del padre e il resto della famiglia costretta a vagare in questa landa desolata in cui gli uomini sembrano tornati allo stato brado, da qui l'accostamento ai lupi, i beni di prima necessità scarseggiano, i trasporti sembrano un miraggio e l'unico modo per tirarsi fuori da questo crudele contesto, Haneke è abile nel creare un film sui rapporti, regalando anche riflessioni sul potere, sulla violenza applicata ad esso, il microcosmo del gruppo di persone che si sono riunite per sopravvivere a questa sorta di carestia o apocalisse è il mezzo per mostrare la disgregazione della società e la sua ricostruzione in un contesto in cui le regole e l'etica vengono abbattute, in cui vige la legge della sopravvienza, una regressione che spoglia l'uomo e lo porta ad una crudeltà atavica.
Tuttavia, nonostante tutto, rimane stranamente uno dei film più speranzosi del regista, che nel corso della sua filmografia ha regalato ben pochi momenti così positivi come può essere il finale di questo film in cui si accende una flebile luce di speranza nel buio dell'animo umano, scelta che ho apprezzato particolarmente, e abbastanza inaspettata considerata la fama dell'autore.
Sempre intrigante a livello stilistico, col suo punto di vista distaccato e uno stile rigoroso, meno empatico rispetto ad altre opere e forse questo è uno dei punti deboli del film, ma rimane una buona pellicola.