williamdollace 8 / 10 03/01/2025 20:07:25 » Rispondi A solo poco più di quarant'anni e con all'attivo 4 film Eggers mostra di che pasta è fatto e tutte le sue potenzialità con un'opera equilibrata, matura e avvincente. Non mi interessano i paragoni con gli altri Nosferatu. Questa pellicola ha vita propria, il picchetto di ferro arriva in punti in cui non credevo potesse scendere, la natura del male (interiore o puramente esternamente oggetto-corpo-entità), l'ossessione (quella del conte come quella di Eggers per Nosferatu - a cui racconta di essere legato già dall'età di nove anni e, recentemente «è brutto, blasfemo, egocentrico e disgustoso per un regista come me fare Nosferatu ora. Avevo davvero intenzione di aspettare un po', ma è così che vuole il destino»), infondono profondità e corpo sessuato al male togliendogli quella patina di bidimensionalità che si trova ovunque, cannibalismo, occulto, vampirismo, putrefazione della carne, malattia come infezione - invasione - male come peste che si diffonde, buio e luce, sacro e profano, invocazioni religiose, ratti, sangue, cuore, sesso e morte, sesso e possesso, corpi che vivono da anni e che marciscono da vivi e corpi ansimanti che si contorcono nel piacere del male (chissà se dare la "buonanotte" è sempre stato sinonimo di una buona notte dormiente o di una notte avventurosa fra i vicoli delle visioni epilettiche e spettrali). La presenza di Orlok è ovunque, nel sonoro, nella luce e nell'uso delle ombre, nella desaturazione del colore, tra il blu morente in cui i Carpazi sembrano uscire da un quadro di Caspar David Friedrich. Le compulsioni, lo stigma della malattia mentale, Eggers mette in mezzo anche la sua rivoluzione e lo fa con l'arte e la maestria di un cinema che resta vivido nello sterno e che ci mette a nudo così come lo fa con le compulsioni ancora umane, eppure umane, le nostre pulsioni, vanità, adorazioni, rimandi, estremi ritorni.