La figura del serial killer è sempre stata un elemento di grande fascino nei media, specie al cinema da tempo proliferano le pellicole sui serial killer, quest'opera di McNaughton è un film del genere atipico, lontano dai giocattoloni slasher che andavano tanto di moda al tempo in cui fondamentalmente vigeva la spettacolarizzazione e il gore, "Henry: Portrait of a serial killer", come suggerisce il titolo stesso, invece è un film dallo stile molto più realistico, adottando addirittura un taglio documentaristico l'opera scende nei dettagli del quotidiano del protagonista e del suo socio tratteggiandone efficacemente la personalità, i problemi e le motivazioni dietro ai gesti estremi, riuscendo comunque a creare una forte tensione e inquietudine senza puntare alla spettacolarizzazione, fin dall'inizio con la prima emblematica scena che mostra un montaggio alternato tra i trucidi omicidi e la apparentemente normale quotidianità di Henry, procedendo con un ritmo lento e introducendo altri due personaggi come Otis, suo complice e Becky, la sorella verso la quale Henry prova un certo senso di protezione, ben presto viene approfondita la personalità dei due carnefici, mostrando l'omicidio come una vera e propria droga, una sorta di evasione dalla blanda e deludente quotidianità dei due, tanto da creare una forte dipendenza, forse per via della botta di adrenalina che procura l'uccisione, i due andranno in giro a compiere le malefatte con pretesti abbastanza futili, basta poco, una risposta data male, come si può vedere nella scena dell'omicidio del venditore di televisioni, che tra parentesi, ha una tensione drammatica intensissima, o nella semplicissima uccisione a sangue freddo dell'uomo che avevano fermato per strada, fingendo di avere l'auto in panne, un paio di colpi di pistola e morte sul colpo, senza neanche prolungare la sua agonia, basta il gesto di togliere la vita, forse per via di una sensazione di onnipotenza che ingrassa l'ego, forse per una necessità di evadere. O ancora altra scena efficacissima è l'incontro di Henry con la donna che porta a spasso il cane, dopo uno scambio di battute e il lieve pedinamento di Henry, con pochissimi elementi, tra cui l'invadente buio di cui è pervasa quasi tutta la pellicola, la tensione si impenna, temendo per una tragica fine.
Il finale a modo suo mostra come la spirale di uccisioni e violenza porta all'autodistruzione, ma mostra anche come la dipendenza prenda il sopravvento sulla ragione, diventando quasi un bisogno atavico, surclassando sentimenti di amore ed amicizia, l'agghiacciante scena della valigetta con un semplice dettaglio comunica più di mille parole, dando un ritratto definitivo della cattiveria intrinseca del protagonista ma anche della sua mente martoriata ormai evidentemente fuori dal mondo, che affronta l'omicidio con una freddezza disarmante, andando anche ad approfondire i traumi passati - l'uccisione della madre e del compagno, tra l'altro fornendo spesso versione diverse a dimostrazione di quanto la mente possa modificare e manipolare i fatti -
Molto bello a livello visivo, fatto di inquadrature perlopiù statiche, probabilmente dettate anche da un budget molto basso, ma che si adattano efficacemente allo stile realistico della pellicola, fatta di tempi dilatati, silenzi e dialoghi essenziali, spesso sfociando in raptus di violenza e innalzando terribilmente la tensione, dalla fotografia buia, mostra la metropoli in notturna lontana dai colori vividi del cinema americano, un cielo nero come la pece che d'altronde rispecchia l'animo di un film nichilista, crudo e senza speranza.