"The long goodbye" è la prima incursione di Altman nel noir - si potrebbe dibattere sul fatto se sia l'unica, considerate pellicole future come "The Player" o "Kansas City", ma è un gioco troppo fine a se stesso, soprattutto considerato l'estro dell'autore capace di fuoriuscire continuamente dagli archetipi dei generi -, trasponendo uno dei romanzi di Chandler, l'autore americano da una visione del tutto personale, piegando e stravolgendo il genere al suo punto di vista, andando a snaturare gli archetipi che avevano fatto grande quanto iconico il genere, assieme al personaggio di Marlowe, durante il cinema classico, riservandosi anche delle riflessioni implicite sulla natura dei generi e delle tendenze cinematografiche, il titolo ne sarebbe un grosso emblema, potrebbe essere un lungo addio dell'autore stesso? O della stessa hollywood nei confronti di una corrente ormai diventata desueta? In realtà il film di Altman avrà una discreta compagnia a partire dagli anni settanta - Chinatown di Polanski è l'esempio più lampante - ma quest'operazione per caratteristiche risulta essere unica, fin dalle prime sequenze Altman attua una demitizzazione del personaggio di Marlowe, uno di quelli a cui è stato spesso associato uno status di personaggio misterioso, affascinante, carismatico, qui la realtà è ben diversa però, non c'è più la femme fatale e i barocchi interni del cinema classico, Marlowe viene svegliato alle tre di notte dal suo gatto viziato che ha fame e vuole soltanto una determinata marca di cibo per gatti, tanto da costringere il detective ad andare a comprare questo cibo al supermercato, questa lunga introduzione è lo specchio di quello che sarà la pellicola e di ciò che è diventato Marlowe, venendo descritto anche con una certa ironia ed un'estrema disillusione che lo porta ad avere un atteggiamento molto più leggiadro rispetto a quello con cui è conosciuto nei romanzi e nelle trasposizioni più celebri - parlo sempre di "The Big Sleep" di Hawks, è impossibile non fare un paragone con quel film -.
Dopo questo incipit che dice tutto, inizieranno i guai per Marlowe, un suo amico dopo aver litigato con la sua compagna gli chiederà il favore di accompagnarlo in una città messicana, inizialmente senza spiegazioni, che verranno fornite il giorno dopo dalla polizia che cerca questo suo amico per l'omicidio della compagna, da qui inizierà la torbida odissea del detective in questo mondo offuscato e a doppio fondo, i cui i personaggi tirati in ballo mostrano tutta la decadenza morale ed un'inaffidabilità emblematica, costruendo un plot basato sulle bugie dal quale il detective dovrà trarre le dovute conclusioni da solo, creando la tipica situazione in cui è impossibile fidardi di qualcuno non sapendo quasi mai chi stia dalla parte di chi, sebbene Altman stilisticamente sembra non voler approfittare dell'intreccio creato e non si concentra tanto sulla tensione, quanto nella destrutturazione dei personaggi, lo stesso Marlowe non è infallibile, anche lui trae delle conclusioni sbagliate, come quando crede che lo scrittore abbia ucciso Sylvia, venendo prontamente smentito dalla polizia. Ma anche altri personaggi risultano ampiamente rivisitati, come possono essere Eileen, che a primo impatto può sembrare la tipica femme fatale del genere, dati gli attributi fisici, dalla folta chioma bionda ad una certa attrattività, salvo però essere spogliata dalla tipica carica erotica che accompagna il personaggio, rendendola volutamente meno magnetica, ma comunque conservando, come si vedrà, una certa diabolicità di fondo, allo stesso gangster che viene dipinto in maniera quasi sardonica, per intenderci, sembra una rivisitazione postmoderna, dall'egocentrismo e le smanie di potere che si porta dietro, ad un comportamento nevrotico ed estremamente bipolare - la scena della bottiglia in faccia alla sua fidanzata è forse il momento emotivamente più forte del film - che guardandolo col senno di poi può sembrare un'antenato dei Tony Montana di De Palma, ma anche di svariati personaggi visti nei film di Tarantino, dei Coen e via dicendo, un piccolo anticipo del postmodernismo, e in questo senso, il film sembra avere qualcosa in comune con queste opere anche stilisticamente, specie per la sottile ironia che si legge tra le righe degli acuti dialoghi tra Marlowe e il resto dei personaggi, ad un lieve sentore grottesco che ogni tanto fa capolino - le vicine di casa di Marlowe, una sorta di figlie dei fiori sempre mezze nude a fare meditazione -
Si arriva ad uno splendido finale, forse tra i momenti più alti del film, in cui Marlowe mostra una natura differente da quanto visto in precedenza, quando uno dei valori cardini del personaggio viene a mancare, ovvero l'amicizia, tradita dal compagno che ha pure accompagnato ed aiutato, prendendosi una personale vendetta abbastanza insospettabile fino a pochi momenti prima, ultimando una splendida sceneggiatura che rimane misteriosa ed estremamente torbida per buona parte della durata, ma anche visivamente il film è una perla, dalla splendida fotografia che alterna scene in notturna a radiosissimi momenti diurni, abbastanza inusuali per il genere, con Marlowe che si ritrova spesso sulla spiaggia, alle inquadrature di Altman che puntano a creare una regia perennemente presente, sembra il regista abbia voluto esplicitare il mezzo a tutti i costi, con dei lievi ma percettibili movimenti di camera ad ogni stacco, ricorrendo spesso e volentieri anche a soluzioni visive tra l'onirico e il simbolico, mi vengono in mente le splendide inquadrature con la conversazione tra i due coniugi vista dall'esterno della vetrata che viene a creare una simil-dissolvenza grazie al vetro che riflette l'immagine di Marlowe che passeggia in spiaggia, estremamente suggestiva, così come il saltuario uso di specchi sempre a simboleggiare la doppia faccia dei personaggi, arrivando alla splendida colonna sonora di John Williams, tra la stessa canzone "The long goodbye" e svariate variazioni sul tema tra piano e strumenti a fiato, con un timbro tendenzialmente jazzato.