Ennesimo grande film di Altman che dimostra ancora una volta la sua estrema abilità nel saper saltare tra generi e stili diversi spesso con risultati eccellenti, "3 women" è un film relativamente inedito all'interno della sua filmografia, seppur con qualche rimando stilistico a "Images", dai movimenti di camera lenti ad avanzare che possono ricordare quei simil power zoom spesso usati nel film del 72' al continuo uso dello specchio come simbolismo di riflesso e doppo, fino ad arrivare ad un'invadente colonna sonora, qui meno tesa ma comunque dalle tonalità acute e stranianti, anche se trovo quest'operazione ben più matura e con una narrazione più efficace, originale e coraggiosa, è un film scritto divinamente, la sceneggiatura è abile nel far perdere lo spettatore nei meandri di questo rapporto particolare tra le tre donne in questione e il mondo esterno, è un film che nella prima parte sembra vada a parare verso un rapporto morboso tra i due personaggi che legano di più quello di Sissy Spacek, reduce dal successo di Carrie - di cui ho intravisto una citazione quando si sporca col pomodoro - giovane donna introversa e sola e quello di Shelley Duvall, che conosce sul luogo di lavoro e dopo averle spiegato le basi del lavoro diventa il suo punto di riferimento anche al di fuori di esso, creando un rapporto di apparente dipendenza, la sensazione personale per buona parte del film è stata che stesse andando verso una direzione nella quale la morbosità e l'attaccamento della Spacek potessero detonare con conseguenze tragiche, e invece no, il film si distacca da quei modelli e cambia radicalmente il suo focus, assecondando la componente sociale che inizia a farsi sempre più evidente tra le righe, ben presto, sia lo spettatore, che le stesse protagoniste, capiscono che non è una lotta tra di loro, quanto di loro contro il resto del mondo, in cui il patriarcato, prima insito nei dettagli, fuoriesce in tutta la sua cinicità, e sono tanti gli esempi sparsi nel film che anche a primo impatto possono essere sottovalutati, dalle stesse rappresentazioni, molto inquietanti, di Willie, ai genitori di Pinky, col padre totalmente assente e incurante delle condizioni della figlia, fino ovviamente ad arrivare all'emblematico personaggio di Edgar, rappresentante dell'uomo manipolatore, che addirittura in una prima parte del film sembra diventare quell'oggetto di discordia tra le tre donne, la vera trasformazione nella sceneggiatura è proprio la comprensione di questo, una presa di consapevolezza delle tre donne con una nascente solidarietà femminile che le porta ad una simbolica e reale - la nuova convivenza - collaborazione per difendersi da una società subdolamente patriarcale che ormai fa della manipolazione psicologica la sua arma principale.
Lo stile di Altman qui è straordinario, riesce a creare un'atmosfera rarefatta e sospesa, con una fotografia particolarmente fosca e l'ambientazione di questa cittadina sperduta nel deserto californiano, tra la camera che vaga leggiadra e un saltuario uso del blur sui bordi per aumentare la sensazione di spaesatezza, per non parlare delle immense sequenze che riesce a regalarci, da quella dell'incubo, straordinario viaggio, inquietante e cupo come pochi, alla terribile scena del parto che è un vero e proprio macigno da digerire, mostrato tutto in soggettiva dal punto di vista di una Pinky inerme, o ancora il suo continuo indugiare sui dettagli delle spaventose rappresentazioni che Willie passa il tempo a realizzare per via dei luoghi, ad un grande uso del colore, con queste tonalità di viola date dall'edificio in cui vivono le protagoniste e il giallo sia del deserto che dell'arredamento, che creano una combinazione particolarmente lisergica, poi la colonna sonora al flauto o quello che è, è la ciliegina sulla torta di una pellicola che è un vero e proprio viaggio straniante e onirico.