Grandioso affresco di Altman sull'America del tempo, che poi, parliamoci chiaro, non casca tanto lontano dall'America di oggi, neo hollywoodiano fino al midollo, tanto da essere una vera e propria icona della corrente è un film a suo modo mastodontico, che presenta una narrazione estremamente corale, colmissimo di personaggi e senza un vero protagonista, che narra gli avvenimenti che accadono nella città di Nashville durante questo festival di musica country, trasmettendo tramite questa narrazione un po' vaga e rapida la frenesia di quei giorni di festa, inquadrando per un minutaggio relativamente basso le vicende di svariatissimi personaggi ognuno dei quali è un tassello per un grande mosaico che mostra i vizi, le virtù e le contraddizioni di un paese in crisi etica, sociale e politica, con la ferita del Vietnam ancora aperta e un consumismo invadente che inevitabilmente si mischia allo show business.
Ogni personaggio a suo modo è emblematico, da Sueleen Gay, donna col sogno di cantare, ma estremamente incapace a farlo, che però viene favorita dal suo aspetto attraente, cosa che però progressivamente le si rivolterà contro arrivando ad un'umiliante scena in cui è costretta a mostrare il proprio corpo in cambio della promessa di potersi esibire con uno dei suoi idoli del country, o ancora il candidato Walker, con la sua politica invadente all'interno del festival e la sua propaganda demagogica - ma quanto ci aveva visto lontano Altman? Quanto? - che causerà grossi disordini e opposizioni, ma più che altro mostra anche quanto il contesto sia diventato favorevole alla proliferazione di personaggi simili tra i malumori del popolo e la crescente insofferenza verso le istituzioni, così come l'emblematico finale col terribile attentato e lo show che però non si deve fermare, in un'atmosfera surreale, o ancora gli intermezzi pubblicitari che vengono proposti tra una canzone e l'altra, o la tematica del divismo trattata con un certo spirito fanatista degli spettatori che le provano tutte per riuscire ad avere un contatto ravvicinato con le star del festival, ma c'è anche il tempo di mostrare il punto di vista dei cantanti stessi, tra gelosie e invidie e qualcuno che va in burnout per le pressioni ricevute e una fama troppo difficile da gestire, tra una grande esibizione e l'altra il film si muove mostrano a piccoli tratti momenti che risultano emblematici nell'America contemporanea, con un montaggio alternato straordinario che sposta continuamente il focus e da una sensazione di spaesamento che rispecchia molto bene il contesto che vuole rappresentare, una colonna sonora di altissimo livello e una serie di grandi attori a disposizione di Altman, tra la fedele Shelley Duvall, un giovane Jeff Godblum, o il solito Keith Carradine, qui nelle vesti di cantante col grande successo "I'm easy" che sbancherà premi su premi, una regia molto dinamica e tremendamente efficace nello scandagliare i sentimenti, i problemi e le ipocrisia della società occidentale, "Nashville" è uno splendido affresco del periodo, ancora immensamente attuale e che come tanti altri film di Altman riesce a lasciare una forte malinconia e parecchio amaro in bocca, in ogni caso, imperdibile.