Classico caso di sequel non richiesto, se non dai produttori per intascarsi qualche quattrino, il primo film era tranquillamente autoconclusivo, e se presentava anche un minimo di freschezza narrativa, questo qui non accade, "Bridget Jones: The edge of reason" risulta un film stagnante, che prolunga inutilmente le situazioni del primo film, riportando in ballo il triangolino che si era venuto a creare e le solite situazioni e contrasti che avevamo già visto, addirittura viene riproposta la rissa tra i due pretendenti di Bridget, questa volta almeno finiscono in una fontana piuttosto che nel ristorante.
Alla base della narrazione vi è la solita insicurezza di Bridget, già ampiamente approfondita nel primo film, che qui viene catalizzata dalla presenza di Rebecca, affascinante assistente di Mark, ora impegnato con Bridget, mettendo in risalto il contrasto, specialmente estetico che si viene a creare, una sorta di complesso di inferiorità che genererà le peggiori paranoie nella protagonista, scaturite anche da situazioni che fanno tanto commedia degli equivoci, che però risultano abbastanza forzate, anche la verità che viene a galla alla fine del film risulta abbastanza buttata lì, in ogni caso, queste insicurezze di Bridget la faranno litigare continuamente con Mark, la metteranno in imbarazzo nei vari eventi sociali, spesso presenziati da gente importante come avvocati, giudici, politici e via dicendo, dell'ambiente frequentato da Mark, in cui a Bridget capiterà spesso di fare qualche gaffe, arrivando a lasciarsi temporaneamente e finire in questa strana avventura in Thailandia dove verrà arrestata per possesso di droga, con la solita manfrina di lui che fa l'orgoglioso ma in realtà ha fatto un grande gesto e blablabla, fino al finale riconciliante e zuccheroso.
Insomma, poca roba, poco originale e praticamente ripercorre le esatte dinamiche del primo senza un minimo guizzo narrativo, trascurabile.