Bellissimo film di Rosi, bellissimo e ostico, ma ostico lo voglio usare con un'accezione estremamente positiva, perché, in questo caso, fare un film ostico significa cercare di restituire un punto di vista più onesto e ragionato possibile, è un film in cui si analizza un problema complesso, una vicenda complessa, e le vicende complesse non hanno soluzioni semplici, sommarie, di pancia, assolutamente, e Rosi è un gigante nel riuscire a trattare la complessità degli eventi raccontati senza scadere in banali ammiccamenti allo spettatore, non ci prova nemmeno per un secondo, restituendo una visione particolarmente intricata, ma che rispecchia effettivamente i toni e la realtà della vicenda.
Il film parla della vita di Salvatore Giuliano, ma più che concentrarsi sull'uomo in sé è straordinario nel descrivere il contesto del tempo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con la nuova Repubblica e i movimenti per l'indipendenza della sicilia, in un contesto secessionista in cui i vertici di questi movimenti decidono di far entrare Giuliano e la sua banda nel corpo, il montaggio mostra più linee temporali, alternando quella post morte di Giuliano, che parte proprio dalla scoperta del suo cadavere e arriva al processo per la strage di Portella delle ginestre, che prende una via più da legal movie, a quella delle gesta di Giuliano quando era in vita che tenta di fare una ricostruzione di carattere storico degli avvenimenti e retroscena.
Tanti gli argomenti trattati, a partire dalla vicenda principale che probabilmente è l'unico momenti in cui Rosi si schiera un minimo, da che parte? Dalla parte del popolo ovviamente, l'autore sembra prendere le distanze sia da Giuliano che dalle istituzioni che navigano attorno alla vicenda, dedicandosi a mostrare il dramma e la pesante situazione dal punto di vista della popolazione, come schiacciata da due forze contrastanti, se da un lato la popolazione è costretta all'omertà sul banditismo vuoi per l'influenza della mafia, vuoi per la corruzione imperante delle forze dell'ordine, dall'altro è messa costantemente sotto minaccia dai corpi militari statali alla ricerca di informazioni sul bandito, a proposito di questo la celebre scena in cui i militari arrestano tutto il paese perché copre le malefatte della banda diventa emblematica, con una frase particolarmente esplicativa "la nostra sola colpa è di essere nati a Montelepre".
E alla fine il film di Rosi vuole mostrare come ci vadano di mezzo sempre i più deboli, dalla popolazione minacciata, arrestata, costretta addirittura a rimanere dentro casa senza provviste ed acqua, alla madre del bandito in preda al dolore per la sua morte in una delle poche scene toccanti e solenni in cui urla in maniera quasi disumana, arrivando al processo stesso dove i banditi, dopo essere stati gli esecutori di ordini di istituzioni più alte, vengono dati in pasto alla giustizia e usati come capro espiatorio, e Rosi è straordinario con la sua regia a mostrare questo distacco dalle istituzioni e la loro natura fosca e inarrivabile, lo stesso Giuliano, nonostante sia quello a cui ruota attorno tutta la vicenda, non viene mai inquadrato, almeno da vivo, e anche da morto vi è la scelta di non mostrarlo mai in viso, è come un'entità, spesso nominato ma mai visto, lui così come la mafia, le forze dell'ordine e lo stato sono su un piano superiore rispetto alla popolazione che resta per terra a sporcarsi le mani e subire le conseguenze di queste azioni scellerate, e alla fine, l'insabbiamento vince sempre, il film è straordinario nel riuscire a trasmettere questa sensazione di mistero irrisolvibile, non sapremo mai la verità, i testimoni e quelli che sanno troppo vengono fatti fuori prima del tempo - Gaspare Pisciotta -, le stesse forze dell'ordine si impegnano per ricostruire una scena del delitto a loro piacimento e modificare la narrazione degli eventi, e per questo è ostico, la verità non è quella che sembra, anzi la verità non sembra e basta, c'è poco e nulla di chiaro, non c'è un colpevole, probabilmente ce ne sono tanti, e la questione è troppo complessa per schierarsi, se non, con un sussulto di umanità, dalla parte di un popolo martoriato da gente che fa i propri interessi sulla loro pelle.
Straordinario stilisticamente, con uno splendido realismo, girato negli stessi luoghi degli avvenimenti e con un cast autoctono, Rosi regala una regia fenomenale, che ha pure vinto a Venezia, con splendidi campi lunghi capaci di immergere lo spettatore nel contesto della Sicilia di quegli anni con anche belle ambientazioni nelle montagne del palermitano e momenti mostrati da punti di vista ben più ravvicinati.