Splendido noir di Carol Reed, "The third man" è un'opera atipica per il genere, a partire dall'ambientazione che si distacca dalla classica metropoli americana, questo invece è ambientato nel cuore dell'Europa, in una Vienna ancora diroccata dai bombardamenti della guerra, introducendo questo elemento esterno, Holly, alla ricerca del suo amico Harry Lime, che avrebbe dovuto ospitarlo, dichiarato morto appena il protagonista arriva in città.
La sceneggiatura in realtà è abbastanza semplice per il genere, e devo dire, secondo me è anche la parte meno memorabile del film - non perché sia brutta, quanto perché qui l'aspetto tecnico è a livelli d'eccellenza - basandosi prima di tutto su un gioco di sospetti che continua stuzzicare continuamente il protagonista, così come lo spettatore, fatto di piccoli dettagli, piccole incongruenze nei racconti dei testimoni o degli amici di Harry, che portano il protagonista in una ricerca sempre più approfondita per la scoperta della verità, progressivamente incappando in retroscena, fino ad un totale ribaltamento della concezione precedente, la parte che io ritengo debole della sceneggiatura è il tipico dilemma che nei noir affligge il protagonista, questa volta troppo facile da risolvere, con la scoperta dell'estrema crudeltà di Harry, Holly sarà combattuto tra il proteggere la grande amicizia con lui e il farlo incastrare dalla polizia per il mal fatto, ma considerata l'entità del male è una scelta abbastanza facile da fare, anche per lo spettatore che vede l'enorme sofferenza causata, annullando un pochino il classico conflitto che caratterizza il genere e creando una netta separazione tra bene e male.
Ma va bene è un aspetto che non rovina un film tecnicamente clamoroso, visivamente stratosferico, poco da dire, con una serie di sequenze una più bella dell'altra, ora, probabilmente c'è lo zampino di Orson Welles anche alla regia, perché molte inquadrature assomigliano al suo modo di comporre il quadro, la profondità di campo prevale tantissimo, vi è un continuo uso delle inquadrature oblique a sottolineare un certo smarrimento del protagonista in una città totalmente estranea di cui non parla nemmeno la lingua principale, strepitosi campi larghi della città, con le sue ombre lunghe e definite, costantemente bagnata da una rugiada che fa risplendere un bianco e nero perfetto, oppure vogliamo parlare della prima sequenza in cui compare Harry Lime? Con la luce che illumina solo le scarpe e il volto che viene scoperto dalla luce che viene accesa da una casa? O ancora lo splendido confronto nella ruota panoramica in cui Orson Welles sale in cattedra e dimostra tutto il suo carisma, col suo personaggio maligno e opportunista - tirando fuori quella famosa frase sul rinascimento e gli orologi a cucù, momento altissimo - o ancora gli inseguimenti, le sequenze finali in queste fogne labirintiche alla ricerca di Harry, con un montaggio splendido e questa componente fosca in cui vi sono diversi giochi di sagome.
Per non parlare della colonna sonora di Karas, il suo celebre motivetto e tutto l'accompagnamento a base di banjo, spesso anche invadente che però dona una componente più folkloristica alla pellicola e la differenzia molto dalle colonne sonore più solenni tipiche dei noir americani.