Dom Cobb 6 / 10 23/05/2025 18:29:06 » Rispondi L'agente Ethan Hunt e la sua squadra si danno alla macchia (ancora una volta) per trovare e disinnescare una pericolosa intelligenza artificiale che minaccia la sicurezza globale e di cui i servizi segreti del mondo intero vogliono assumere il controllo. Per riuscirci devono impadronirsi di due metà di una misteriosa chiave e affrontare un misterioso nemico di nome Gabriel... Doveva succedere, prima o poi. La strada intrapresa dal franchise "Mission: Impossible" era stata all'insegna di un ideale miscuglio fra atmosfere da spionaggio classico e azione e spettacolarizzazione sfrenate, una formula che sotto l'esperta guida di Christopher McQuarrie aveva funzionato bene; però, già nel precedente "Fallout" si iniziava a intravedere qualche crepa, i primi segnali di cedimento, la prova che si era raggiunto un limite e che forse, proseguendo la serie, era meglio non superarlo. Invece si è scelto di osare, di andare ancora oltre, portare gli stilemi della saga ancora più all'estremo e con "Dead Reckoning" si arriva al punto di rottura, ottenendo quello che ritengo, a oggi, il capitolo più debole della saga. Infatti, l'equilibrio ottenuto nei capitoli precedenti fra azione, dramma, commedia e spionaggio classico qui non si ripete. Gli ultimi due elementi vengono bene o male accantonati, fin dal prologo inutilmente lungo si avverte una solennità di fondo più consona a un film da Oscar che a un blockbuster d'azione e avventura. Un'atmosfera che permane per tutta la durata e, complice un ritmo dannatamente lento, finisce per appesantire non poco una pellicola già corposa di suo.
La sequenza iniziale del sottomarino poteva concludersi in grande con l'esplosione del missile e una transizione ai titoli di testa, invece due minuti buoni sono sprecati a mostrare l'affondamento del sommergibile e i cadaveri abbandonati sotto il ghiaccio. Stessa cosa per la scena dell'ingaggio di Ethan, dove ciascuna battuta viene pontificata da lunghi attimi di silenzio, neanche si trattasse una messa.
Il problema più grande però è la scrittura: da una parte viene portato avanti un discorso già timidamente accennato in "Rogue Nation" e più in evidenza in "Fallout", ossia la mistificazione eccessiva del personaggio di Ethan Hunt, che nei gesti e nelle attenzioni riservate dalla storia viene più volte inquadrato come l'unica, sola salvezza dell'intera civiltà occidentale, con tutti gli altri membri della squadra giusto lì a fargli da spalla con troppe poche cose da fare per essere davvero importanti: alla fine, Ethan riesce a risolvere tutto bene o male da solo e questo sminuisce un po' quelli che, fino al film precedente, erano figure di peso. Ok, posso capirlo, Cruise è il produttore e pertanto ha il diritto di autocelebrarsi se lo vuole; ma il fatto è che qui mancano anche una trama intrigante o un mistero da risolvere. In effetti, non c'è proprio una trama: tutto il film si incentra sul recupero di questa dannata chiave, che passa di mano in mano e che nessuno sa cosa apra... tranne il pubblico, a cui viene mostrata ogni cosa nella prima scena. E per di più, questa caccia continua si protrae per quasi tre ore, dando l'impressione di sprecare tempo correndo in circolo, visto che il pubblico sta sempre due passi avanti rispetto ai personaggi. E come per ovviare a questa mancanza, McQuarrie decide di dilatare i tempi e rendere la sceneggiatura inutilmente verbosa, con tanti spiegoni che si limitano a esplicitare ciò che è appena successo due scene fa,
Sempre nel prologo, all'affondamento del sottomarino seguono il reclutamento di Ethan per il recupero della chiave e uno scontro nel deserto con Ilsa Faust, in possesso di una metà della chiave; e dopo tutto questo abbiamo una scena di circa dieci minuti (!) in cui i capi dei servizi segreti occidentali si spiegano a vicenda tutto ciò che è appena accaduto, addirittura mostrando flash e spezzoni della sparatoria appena avvenuta. E' come se McQuarrie si fosse distratto in sala montaggio o non si fidasse della soglia d'attenzione del pubblico.
oppure inserendo episodi che non hanno alcuna rilevanza nell'economia narrativa, sembrando inseriti giusto "perché sì".
L'intera sequenza della "finta bomba" all'aeroporto di Abu Dhabi non aggiunge nulla, quasi che all'ultimo momento si fossero accorti che Luther e Benji non avessero niente da fare e volessero porvi rimedio. Stessa cosa vale per la scena finale sul treno che precipita dal ponte: non basta che Hunt e la sua compagna riescano a sfuggire a un vagone che cade. No, devono ripetere la stessa serie di acrobazie per ben tre volte, allungando il brodo di una scena che, senza quelle aggiunte, sarebbe stata altrettanto (o forse ancora più) soddisfacente.
Tutto questo inflaziona la durata, che a 163 minuti si rivela davvero esagerata per quel poco di storia che c'è da raccontare. E' probabile (anzi, certo) che l'emergenza COVID possa aver influenzato la produzione in tal senso, ma questo non cambia il risultato finale. Tra l'altro, non posso fare a meno di notare come rendere il villain della situazione una IA piuttosto che una persona conceda all'intera storia un alone di fantascienza che, per i miei gusti, stona. Restano a nobilitare la situazione le solite scene d'azione realizzate in maniera impeccabile e qualche buono stunt, per quanto i momenti clou vengano rovinati da un utilizzo gratuito di pessima CGI -un altro aspetto di "Fallout" qui portato ancora più all'estremo e che toglie tutto l'impatto che quei momenti dovrebbero avere.
La parte migliore rimane l'inseguimento in auto a Roma, mentre a soffrire di più dei rimaneggiamenti in digitale sono il tanto pubblicizzato salto con la moto, dove si vede che sia la roccia da cui si lancia che le nuvole sono realizzate al computer, e il crollo del ponte con tanto di salto del treno, così finti da risultare pacchiani.
Il cast se la cava ancora bene, anche se, purtroppo, per la prima volta si nota che stanno invecchiando: le new entries non balzano più di tanto all'occhio, ad eccezione di una volenterosa Hayley Atwell e della silenziosa Pom Klementieff nei panni dell'assassina spietata. Delude invece Esai Morales nel ruolo del villain, non tanto per colpa sua, ma per una scrittura incapace di dargli spessore o interesse, per non parlare di un qualunque senso di minaccia o personalità.
Alla fine, ogni sua presenza si riduce a un monologo di quelli che "Gli Incredibili" criticava tanto, su quanto lui e l'entità siano un passo avanti, che non ha bisogno di fare niente perché tanto sa già come andrà a finire la storia ecc. Insomma, questo tizio dovrebbe essere colui che "ha reso Ethan quello che è", ma non ci viene mai mostrato come o perché (ad esempio, chi diavolo era quella donna nel flashback?). Neanche sappiamo cosa vuole, tranne che "serve l'entità".
In conclusione, "Dead Reckoning" fa il suo, fino a un certo punto, ma alla fine risulta troppo in ogni cosa. Nella scrittura ambiziosa, nei tempi dilatati, nel ritmo lento, nei toni crepuscolari, nella pretenziosità. Il capitolo di John Woo era tutto fuorché perfetto, ma almeno aveva un senso della misura, non durava troppo e aveva uno stile che intratteneva (seppure per i motivi sbagliati). Qui invece non c'è nessuna delle due cose. Non è un pessimo film, ma paragonato a ciò che è venuto prima, non è all'altezza. "Più grosso" non vuol dire sempre "meglio".
Dom Cobb 24/05/2025 01:13:08 » Rispondi Naturalmente intendevo "mitizzazione" e non "mistificazione", accidenti al correttore automatico...