waysofmaybe 9 / 10 07/07/2025 00:40:21 » Rispondi C'è un tipo di film che non racconta una storia, ma ne racconta molte insieme, tutte visibili e invisibili, tutte mutevoli, come se il racconto principale fosse soltanto un pretesto per esplorare gli interstizi dell'animo umano. The Fall, diretto da Tarsem Singh, appartiene a questa specie rara.
All'apparenza è una fiaba epica narrata da un uomo a una bambina in un ospedale degli anni '20. Ma ogni fiaba è sempre una mappa, e ogni mappa è disegnata da chi, dentro di sé, cerca qualcosa. Così i personaggi inventati da Roy - l'attore ferito - non sono altro che frammenti smarriti della sua interiorità, travestiti da eroi, banditi e principi in cerca di vendetta o salvezza.
C'è qualcosa di antico nel modo in cui questa storia svela il bisogno umano di ordinare il caos attraverso il racconto. Lo si percepisce nella maniera in cui la narrazione che Roy crea cambia forma a seconda del suo umore, della presenza della bambina, della sua disperazione. È un racconto che muta perché la realtà interiore dell'uomo muta di continuo.
C'è un punto nel film in cui il narratore perde il controllo. Quando Alexandria, la bambina, inizia a intervenire nella storia, l'equilibrio si spezza. È forse il momento più vero: quando la finzione smette di essere solo una coperta e si trasforma in spazio di trasformazione. Lì, la narrazione non serve più soltanto a sopravvivere, ma a trovare una nuova direzione.
Il film suggerisce, con la grazia delle opere davvero riuscite, che ognuno di noi possiede una costellazione di desideri, paure, impulsi e visioni. Alcuni sono chiari, altri sepolti. Alcuni appartengono a noi, altri sono presi in prestito, altri ancora ci sono stati imposti. E nel momento in cui si cerca di trasformare la propria esperienza in racconto, si compie il gesto più antico dell'essere umano: tentare di dare forma al disordine della vita.
The Fall è un film che parla di vendetta e redenzione, di amicizia e perdita, di storie che proteggono e storie che tradiscono. Ma soprattutto, è un film che mostra come ogni narrazione sia un labirinto, e come ogni labirinto abbia bisogno prima o poi di un gesto di coraggio: modificare la propria storia nel momento in cui si comprende che quella vecchia non serve più.
Roy non racconta una fiaba per passare il tempo. Sta cercando di trovare sé stesso. E quando Alexandria interviene, gli mostra una strada diversa. Una storia che salva, invece di distruggere. È lì che il film compie il suo miracolo: svelare che il racconto più potente non è quello che ripara, ma quello che ci cambia mentre lo pronunciamo.
The Fall è una riflessione visiva sulla fragilità delle mappe, sulla mutevolezza dei significati, e su quanto sia importante - ogni tanto - lasciare che qualcun altro disegni una parte della nostra storia.