"La città delle donne" è per forza di cose il film definitivo del confronto tra Fellini ed il mondo femminile, spesso rappresentato nella sua filmografia con caratteristiche fugaci, che l'autore e soprattutto la persona, non hanno mai carpito a pieno, ecco questo film mi è sembrato un ideale proseguimento di alcune tematiche trattate a brevi tratti in film come "8 e mezzo" e "Amarcord", in cui Fellini col suo stile tipico della seconda metà di carriera, ci trasporta nel caos più anarchico del mondo femminile, il film è una lunga visione, sogno o incubo, in base a come la si percepisce, del protagonista nei confronti rapporto con l'altro sesso, fin dalle prime sequenze, con un ormai attempato Mastroianni, che come al solito funge da alter ego di Fellini, che eccitato come un cinghiale segue fuori dal treno questa donna, prima seduttiva, poi sfuggevole, già da questo primo elemento è abbastanza messa in risalto la natura lunatica della donna e la sua indecifrabilità da parte dell'uomo, che comunque non demorde per l'innata attrazione che prova nei suoi confronti.
Il film potrebbe essere diviso in tre macroparti, la prima, quella della conferenza femminista, in cui in un caos surreale tutte le donne urlano slogan femministi, di dubbia logica e palesemente estremizzati, è una critica all'ideologia estremista - in questo caso femminista, ma probabilmente espandibile a tanti altri contesti - che rifiuta il dialogo e si rifugia dietro frasi fatte, risultando soprattutto divisiva e polarizzante e sempre alla ricerca di un colpevole verso cui puntare il dito, in questo caso il povero malcapitato nei panni di Mastroianni dovrà fare i conti con un clima infervorato che lo trasporta in un contesto caricaturale.
La seconda parte cambia totalmente tono, col protagonista che viene portato alla ricca tenuta di questo Katzone, uomo colmo di mascolinità tossica ancora sostenitore di un rapporto all'antica nei confronti della donna, costantemente pervaso dal proprio ego e che si vanta continuamente delle sue conquiste al punto da avere una sorta di museo che prova le sue frequenti esperienze sessuali con le donne, un'ostentazione estrema che aumenta ancora di più la componente caricaturale del film e si diverte a dissacrare il tipico maschio basico, in questa parte vi è anche spazio per una delle scene più belle del film, quella visione del protagonista, che trova il passaggio sotto il letto e viene catapultato in questo parco giochi pieno di ricordi della sua infanzia, le sue prime esperienze con le donne, il rapporto con alcune di esse, un momento che può ricordare molto "Amarcord" ed alcuni dei suoi personaggi femminili come la Gradisca e la tabaccaia, che diventano oggetto del desiderio da parte di giovani che hanno perso da poco l'innocenza.
La parte finale è un sommario processo delle femministe nei confronti del protagonista, e si ritorna un po' a quanto già visto nella primissima parte, qui l'uomo viene condannato ad una pubblica esecuzione per la sua misoginia ed il suo maschilismo, in cui Fellini come al solito scatena il suo talento surreale e ricorre ad espedienti visivi barocchi e surreali, fino al totale ribaltamento della prospettiva sul finale che esplicita - fin troppo - la natura soggettiva della visione.
Nel complesso, è un buon film, la tipica opera criptica e sopra le righe della seconda parte di carriera di Fellini, forse l'ho trovato leggermente più didascalico della sua opera passata, ma in ogni caso funziona bene e riesce ad essere abbastanza evocativo, oltre che visivamente sublime, ho anche apprezzato il mood lievemente paranoico che il film trasmette, in questo viaggio in cui il protagonista è totalmente in balia di eventi che non può controllare.