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L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI regia di Ermanno Olmi

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stratoZ     9 / 10  27/10/2025 14:53:19 » Rispondi
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Il capolavoro di Olmi, un meraviglioso affresco della civiltà contadina agli inizi del novecento, uno sguardo malinconico ma mai stucchevole che nelle sue oltre tre ore di durata narra la quotidianità di quattro famiglie che vivono in questa cascina nella pianura padana, al servizio di un proprietario terriero a cui devono due parti del raccolto, Olmi propone una narrazione dilatata lontana dalla classica concezione dei tre atti, preferisce mostrare piccoli episodi di vita vissuta, dei microcosmi che diventano lo specchio di un passato che ormai sembra inesorabilmente scomparire, la splendida ricostruzione, l'utilizzo di attori non professionisti, gente del luogo che recita in dialetto stretto, rendono l'opera estremamente immersiva, così come la componente visiva, che ho trovato sublime, tra le suggestive ambientazioni della campagna padana, spesso fosca, che genera bellissimi giochi di luce volumetrica, la scenografia scarna degli interni e i campi larghi della zona di campagna, estremamente valorizzata dallo scandire delle stagioni, un film dai tratti esperienziali che diventa un viaggio nel mondo contadino, addentrandosi pian piano nelle vicende private dei personaggi.

Una sorta di epopea statica che tira in ballo svariati significati, da un certo punto di vista, come in altre opere di Olmi, il microcosmo rappresentato sembra una piccola bolla di nostalgia, nel quale tuttavia si riescono ad intravedere spiragli di progresso, modernità e cambiamento, buonaparte del film è ambientato nel contesto della cascina e dei dintorni, ma proprio nei momenti in cui l'azione si sposta al di fuori, come nella festa di paese o nel viaggio dei due sposini a Milano - tra l'altro momento emblematico che mostra la concezione del viaggio di nozze al tempo, in un convento a trovare la zia suora, direi abbastanza diverso dalla concezione odierna - ecco che iniziano a spuntare i primi indizi, gli oratori alla ricerca di consensi, i moti sociali che avanzano, ma solo mostrati sullo sfondo, senza mai interagire con la realtà di personaggi come bloccati in quell'epoca ed in quel contesto.

Ma è splendida anche tutta la parte più grezza, quella più cattivella che nonostante lo sguardo affettuoso rifiuta ogni idealizzazione, la vita di campagna è dura, come si vede nei momenti in cui tocca macellare gli animali, con la papera che fino a poco prima correva accanto ai bambini a cui viene tagliata la testa, o al maiale dissanguato, momenti che mostrano con un certo realismo la quotidianità del tempo a cui lo spettatore attuale non è più abituato, ma vi è anche una certa rappresentazione della religione che descrive senza biasimare le usanze del tempo, la parola del prete che sembra una sentenza sulla vita delle famiglie, la guaritrice che consiglia all'uomo che ha avuto un esaurimento nervoso di strusciarsi i vermi sulla pancia, il miracolo della mucca, data per morta dal veterinario, che si riprende dopo aver bevuto l'acqua del ruscello accanto la chiesetta di campagna, considerata benedetta, tutti momenti descritti senza la minima ironia, senza il minimo giudizio, ma con una naturalezza che rende il tutto accettabile grazie all'immersione nel contesto.

E poi c'è la parte sociale, quello scontro infinito tra i contadini ed il padrone, che si concretizza nella parte finale, quella che da il titolo al film, che mostra tutta la crudeltà nello spegnere un futuro di una famiglia in grossa difficoltà in seguito ad un momento di debolezza, un finale amaro che questa volta si, mostra una corposa critica di fondo, sia al ceto abbiente, sia agli stessi contadini, costretti a voltarsi dall'altra parte e chiudere le finestre, rinunciando ai principi visti fino a quel momento, perché alla fine di tutto, il farsi i fatti propri rientra nell'istinto di sopravvivenza, un momento particolarmente angosciante che fa sentire l'opprimente presenza del padrone anche senza essere in scena.

Tecnicamente meraviglioso, con dei campi lunghi che restituiscono tutto il fascino bucolico del posto, dai tratti pittorici - vi è pure un'evidente citazione alle Spigolatrici di Millet -, ed un turbine di sentimenti che si alternano senza apparentemente mai cambiare registro, passando da un amaro finale agli splendidi momenti di riunione di tutte e quattro le famiglie, fino a quella poetica scena dei nonni che escono coi nipoti a sentire le cornamuse in sottofondo, in una serena sera di dicembre, da sciogliersi per la delicatezza.

Film enorme.