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SPRINGSTEEN - LIBERAMI DAL NULLA regia di Scott Cooper

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Invia una mail all'autore del commento williamdollace     9 / 10  02/11/2025 19:29:14 » Rispondi
We're all Frankies
We're all Lying in hell
[Suicide, Frankie Teardrop]

"Arrivavo da The river e finalmente avevo abbastanza soldi da pagarmi i debiti, una cosa che mi rendeva unico nel mio piccolo quartiere. Vivevo ancora lì. Per cui stavo affrontando la cosa, i miei sentimenti parecchio contrastanti sull'essere così distante dalla gente con cui ero cresciuto e della quale scrivevo. Stavo cercando di capire come affrontare tutto questo. E per moltissimo tempo ho vissuto il tutto con senso di colpa". [Liberami dal Nulla, Warren Zanes]
Deliver Me From Nowhere è l'anti biopic per eccellenza, rovistato nell'abisso delle viscere di Bruce, la genesi di "Nebraska" del 1982, registrato in una stanza in affitto predisposta per le discese agli inferi, una star senza colla e collanti se non le oscure profondità interiori e interiora che Scott Cooper metaforicamente ci mostra non curandosi di fare il classico biopic sulla "star" (vedi il Dylan di Mangold etc.). Siamo all'inizio degli anni Ottanta e Springsteen chiuso in sé stesso affronta una crisi profonda (e la depressione, poi scopriremo) a Colts Neck dopo aver affittato una ranch house immersa in un bacino idrico. Non si riconosce più, se non nei pezzi che andranno a comporre Nebraska, l'anti-disco considerato "ora" uno dei suoi capolavori che viene da questa voragine emotiva: niente hit e singoli, niente registrazione in studio, niente tour, niente faccia in copertina, niente stampa: queste le regole che impone Bruce per l'album, riportato direttamente da una musicassetta Maxell senza custodia registrata nella stanza da letto di Colts Neck. "Sono il frutto di un'incisione casalinga datata 3 gennaio di quell'anno, registrata su un Tascam quattro piste nella camera da letto della nuova casa, con la complicità del suo tecnico delle chitarre, Mike Batlan. Ed è l'unica copia esistente […] La copertina, decisamente non da disco di una rockstar, mostra un cielo cupo visto dalla prospettiva del parabrezza di un'auto (scatto in bianco e nero di David Michael Kennedy, risalente al 1975) e l'inconfondibile lettering rosso e nero inventato da Andrea Klein. È l'unica nella discografia di Springsteen – assieme al debutto e a Western Stars – in cui non compare il Boss" (Lorenzo Barbieri, 10/10/25).
Scott Cooper dopo lo splendido affresco di Crazy Heart con l'autore folk alcolizzato interpretato da Jeff Bridges sceglie Jeremy Allen White, perfetto nel ruolo del Boss e che nulla ha del Boss, se non le fragilità familiari peculiari e politiche che diventano crepe nelle sue rughe, nelle sue espressioni, nei suoi attacchi di panico nei suoi sempiterni malcalcolati silenzi. Tra un bianco e nero per rappresentare i ricordi e un tessuto a colori vintage per tutto il resto Cooper confeziona un prodotto che non ti saresti aspettato, e noi, felicemente ingannati non possiamo che ringraziarlo, perché questo cinema, come lo è stato Nebraska nel panorama discografico non è che un atto di lucida follia su uno stato d'animo perennemente ai margini (cinematograficamente i rimandi sono alla Rabbia Giovane di Malick, ai dischi di Alan Vega dei Suicide ascoltati compulsivamente (Frankie Teardrop), ai testi di Flannery O'Connor) figlio di una società americana completamente scollata tra chi ce l'ha fatta e i disperati, i sottoproletari (He's working from seven to five - he's just tryng to survive), i chiamati alle armi, che annaspano, gli oppressi diseredati che giacciono all'inferno (Frankie's lying in hell): fotografia di un'attualità (great again?) ancor più disarmante.
Ogni atto - è un atto politico.
Grazie Bruce, grazie Scott.