Thorondir 7½ / 10 20/11/2025 12:17:45 » Rispondi La famiglia che diventa microcosmo che riflette un intero paese: il padre-giudice che esercita paternalisticamente una supervisione sul comportamento delle figlie, giovani ragazze che crescono velocemente in un mondo che cambia (perché si, l'Iran cambia, e forse più velocemente di quanto noi ci possiamo immaginare in "Occidente"). Il cerchio della paura si stringe progressivamente sui rapporti interpersonali tra i membri della famiglia. Il legame apparentemente indissolubile tra marito e moglie vede emergere le crepe di un padre-regime che all'improvviso dismette l'aura di modesta permissività (come funziona effettivamente il regime) ed esercita la violenza quando vede messe in discussione le sue stesse fondamenta (in questo caso reputazionali e professionali). Un film teso, un crescendo di sospetto e azione che vuole raccontare l'Iran contemporaneo e la crudeltà dissimulata del sistema di governo (dovendo però "giocare" tutto dentro gli interni per questioni di censura). E nonostante sia un film notevole non si può che constatare nuovamente come sia anche unilaterale: nel senso che racconta dei personaggi binariamente definiti, che dicono in modo chiaro allo spettatore dove stare, che dopo l'inizio mette da parte l'ambiguità vera della borghesia iraniana, che è poi molto meno aperta di quanto noi ce la raccontiamo (e sull'Iran contemporaneo ci ho fatto una tesi e mezza). Ecco perché al cinema così dichiaratamente delineato preferisco un Farhadi che ne "Il cliente" indaga gli abissi della borghesia urbana colta iraniana ricordandoci come sotto la patina di uno pseudo-progressismo si nasconda spesso il substrato profondo della tradizione.