Barry Levinson, che negli ultimi anni azzecca poco e nulla, propone una blanda commedia, sulla scia di uno dei suoi più grandi successi "Good Morning Vietnam", quello si considerabile un film in stato di grazia, considerando le abilità dell'autore, qui attualizzandolo nel contesto della guerra in Afghanistan, introducendo fin da subito il personaggio di Bill Murray, un produttore musicale, dal dubbio successo, con l'abitudine di sproloquiare su un passato del quale si vanta continuamente, che un bel giorno, per provare a far spiccare il volo ad una delle sue assistite, decide di organizzare un tour in Afghanistan, con un risultato immediatamente catastrofico, visto che la cantante fugge impaurita dal contesto, tra guerra, quarantena, ed una situazione umanitaria disastrosa, col protagonista che si ritrova solo in questo stato, senza documenti e denaro, portati via per sbaglio dall'assistita, e costretto a trovare un modo per fuggire.
Le avventure del protagonista si incrociano con una serie di grotteschi personaggi, che diventano un tramite per la descrizione della situazione del posto, tra sparatorie e continui pericoli è un film con un tono costantemente ironico e lievemente sopra le righe, nel quale giganteggia Bill Murray col suo solito atteggiamento disilluso ed autoironico che si destreggia in mezzo ad altri personaggi di contorno, che personalmente ho trovato poco incisivi, come quello della Hudson, prostituta di lusso con cui farà amicizia, e quello di Willis, un mercenario nel suo solito ruolo da duro, entrambi assolutamente prescindibili ai fine della narrazione, il focus è principalmente sul personaggio di questa giovane donna con la passione del canto, che sfiderà, aiutata dal protagonista, ogni pregiudizio e chiusura del posto, passando attraverso pesanti minacce ed intimidazioni, ma il dramma è troppo smorzato da questo umorismo risibile, così come la narrazione è troppo annacquata da episodi poco funzionali, che rendono il film assolutamente impalpabile, in definitiva, parecchio mediocre.