Altra grande opera di Flaherty, qui al largo delle coste irlandesi in quest'isoletta lontana dalla terraferma e con delle condizioni estremamente ostili per la sopravvivenza umana, ed alla fine il significato è tutto qua, nella sua breve durata il racconto ci porta nei meandri della sfida tra l'uomo e questo contesto selvaggio, un'ambientazione nella quale sia per mare che per terra le difficoltà sono abnormi, il suolo è povero di nutrienti e non permette di coltivare quasi nulla, il mare è spesso agitato e pieno di pericoli in agguato, a valorizzare il tutto vi è la regia di Flaherty, capace di dosare sapientemente il secco realismo che vuole donare alla pellicola con una componente ben più vicina alla finzione, che dona al film quella sensazione di struggente epicità, con svariate sequenze stilisticamente molto interessanti, basti vedere i momenti in cui il mare è in tempesta, in una prima parte in cui il regista tende a mostrare inquadrature ravvicinate, che donano un forte senso del pericolo, con la camera anche a filo d'acqua che si fa sovrastare da queste imponenti onde, salvo poi ripresentare il momento da un punto di vista diverso, sul finale, nel quale queste inquadrature ravvicinate vengono alternate con dei campi larghi dell'altissima scogliera, nella quale il mare si infrange, restituendo l'imponenza della natura, tra bellezza e crudeltà.
Vi è anche un grande uso del montaggio, con diverse sequenze straordinarie nel trasmettere quella sensazione di dinamicità dell'azione, molto inusuale sia per il periodo che per la tipologia di film, mi viene in mente la scena nella quale vi è l'uomo che spacca le pietre, col montaggio che propone una sorta di mosaico in cui si alternano velocemente tre inquadrature molto simili, tutte strette, ad enfatizzare la fatica e la violenza dell'atto, così come la successiva caccia allo squalo elefante, bramato dalla comunità per ottenere l'olio che serve per le loro lampade, con una splendida alternanza tra i colpi inflitti allo squalo, la corda che si srotola velocemente, i dettagli della pinna e del viso, un momento di una grandiosa dinamicità, ed un concept che probabilmente è stato influenzato dalle avanguardie russe.
Come già successo con Nanook, Flaherty si dedica a descrivere la dura quotidianità del posto, i punti di contatto tra i due film sono tanti, dall'ambiente ostile alle pratiche rudimentali della comunità, vi è anche la scena di pesca da sopra la scogliera che può ricordare quella di Nanook sopra il ghiaccio, aggiungendo tuttavia una componente di pathos e dinamicità che da nuova linfa al film.