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PULP FICTION regia di Quentin Tarantino

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Invia una mail all'autore del commento Matteo Bordiga     8 / 10  21/09/2005 02:52:08 » Rispondi
Qual è il segreto di “Pulp Fiction”? Quale il suo insondabile fascino, così forte da riuscire a sfiorare anche le persone che non lo apprezzano incondizionatamente e rimangono magari spiazzate dal suo macroscopico gusto per l’esagerazione?
Le risposte possono essere molteplici. Innanzitutto, la costruzione dell’intreccio: si è tanto parlato di “Pulp Fiction” come di quel film che ha rivoluzionato il linguaggio del cinema giocando sullo sfasamento dei livelli narrativi, insultando la consuetudine di illustrare gli eventi secondo il loro ordine cronologico e proponendosi così come la pellicola-simbolo della tanto discussa “post-modernità”.
La sensibilità post-moderna, che strizza l’occhio alla precarietà, alla frammentazione, alla rottura degli “schemi” tradizionali e alla passione per la citazione, non può certamente essere ignorata, nell’analisi di “Pulp Fiction”. Quentin Tarantino, noto appassionato di Cult-Movies ma anche di B-Movies (specie all’italiana), dimostra indubbiamente una predilezione per il dialogo e la commistione fra generi: in tal senso, lavora sia sulla forma che sul contenuto.
Ma no, non bastano queste pur rilevanti considerazioni. Non bastano a spiegare tutto il carisma di “Pulp Fiction”. C’è decisamente dell’altro: per esempio, l’indiscutibile originalità della storia, a prescindere dalla forma in cui viene narrata. In secondo luogo, le prestazioni di ottimo livello di un cast peraltro ricchissimo di primedonne. Ma, soprattutto, la peculiarità tutta tarantiniana di una sceneggiatura carica di “forzature”, battutacce gratuite e spassosissime e situazioni paradossali. L’ “Esagerazione” con la “e” maiuscola, come si diceva, è la cifra distintiva di questo film. Ed è anche un vezzo del buon Quentin, che però in “Pulp Fiction” la sfrutta al meglio, senza degenerare nel barocchismo e nell’ “eccesso eccessivo” de “Le Iene”, nel quale invece le volgarità, le parolacce e le “iperboli” (…) venivano utilizzate con troppa frequenza. In “Pulp Fiction” l’eccesso c’è ma, non essendo “eccessivo”, viene percepito dallo spettatore come un divertentissimo “tic” dei personaggi che formano l’improbabile zoo umano di quella che d’altronde, non bisogna mai dimenticarlo, è dichiaratamente una “fiction”.