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LA RICERCA DELLA FELICITA' regia di Gabriele Muccino

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Invia una mail all'autore del commento emmepi8     8½ / 10  15/01/2007 11:30:26 » Rispondi
Una sceneggiatura non sua che con pazienza e sensibilità tutta europea, per non dire italiana, ha reso meno meccanica; una storia stravista nel panorama di un cinema americano che è sobillato e stimolato da operazioni di questo genere, con varianti a non finire. Sarò accusato di esagerazione, specialmente per quanto riguarda Muccino e quelli dalla puzza sotto il naso che assilla certa critica, ma ci ho visto dei tratti del cinema di De Sica/Zavattini ed un piccolisissmo riferimenti al Benigni de La Vita è Bella. A Muccino non si perdona il suo grande successo di pubblico, che comunque lo ha sempre premiato, ed i critici questo non glielo concederanno mai, magari lo perdonano e lo giustificano in altri registi, tipo i Vanzina ect., ripescando e rivalutando certi produtti inqualificabili. Non amo nella nostra cultura questa aria di sufficienza, che esiste da sempre, e che ha fatto riconoscere per capolavori films che nel momento sono stati offesi dai più spregevoli commenti. Ancora non ho letto critiche su questo film, ma gli antipasti ci sono eccome: fu gridato a vittoria, quando andò a monte il film con Al Pacino (cosa normalissima nel cinema americano e non!!), oppure si è esultato quando L'Ultimo Bacio, versione americana, ha fatto flop (in cui Muccino non ha potuto mettere parola!!); ora per questo, prima ancora di averlo visto, si esultato per Smith, dicendo che era la sola perla del film e che Muccino aveva solo diretto elementarmente la storia. Se ci facciamo caso non è così, oltrettutto lo sceneggiatore Steven Conrad ha un suo recente passato che ci porta a tutt'altra definizione del film; l'entrata della macchina da presa dentro l'interiorità e la caratterialità del personaggio colpisce in pieno; le riprese stesse, fatte in maniera nervosa e mai scontata, riescono a farci partecipare in maniera completa, si non vergognamoci, è un film di sentimenti, ma non siamo mai presi con la cipolla in tasca, ma che scaturiscono direttamente dalla storia. Si deve riconoscere a Muccino certe raffinate sfumature che hanno sottolineato perfettamente il racconto, compreso l'uso appropriato del bambino, che è riuscito a coinvolgere in maniera eccezionale. Una direzione di Smith inappuntabile, che nel ruolo drammatico è stata una grande rivelazione molto più di Alì; a saputo, da come si racconta, anche tiranneggiare l'attore scoprendone dei tratti sconosciuti e facendoci commuovere nel rpefinali qunado gli viene riconosciuto l'icarico. Ma quello che colpisce nel personaggio, e sul quale il regista insiste, è la straordinaria determinazione in qualsiasi situazione anche di disperazione.
Gabriele Muccino: una prova che lo riscatta da qualsiasi cattiveria detta e scritta.Gli sputi in faccia di certa critica che ha mosso intere correnti di pubblico per dargli contro, sono servite solo a dargli lo sprint necessario per affrontare il rapporto con un cinema americano dove quasi nessuno europeo è riusciti a vincere ( se si toglie Malle e poco più)
Smith padre: la direzione di Muccino è riuscito a spogliarlo dalla quella esuberanza viziata da cinema americano, anche irritante, mettendola al servizio di un personaggio e di un disegno di film eccezioanle
Smith figlio:Il bambino da sempre , o quasi, nota dolente dei films di questo genere, qui invece il regista è riuscito a creare il necessario contrappasso al personaggio del padre.
Musica: Andrea Guerra, bravissimo e scelto da Muccino in maniera intelligente, una musica di sottolineatura, ma risce anche ad emergere