caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

THE MILLIONAIRE regia di Danny Boyle

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
ULTRAVIOLENCE78     7 / 10  23/12/2008 19:50:50 » Rispondi
Danny Boyle doveva decidersi: o realizzare un bel film drammatico di denuncia, soltanto venato dalla giusta dose di ironia scanzonata costituita dal punto di vista dei bambini, o una favoletta destinata ad un pubblico di adolescenti. Le valide intenzioni iniziali –sviluppate fino a ¾ della pellicola- si smarriscono in un epilogo edulcorato che neutralizza l’impianto rappresentativo dell’opera che, fino a quel punto, si era incentrato sulla delazione della rete di sopraffazioni che si estende, trasversalmente, dai “bassifondi” fino ai contesti apparentemente ovattati, quali quelli relativi allo “show-business”. Peccato, perché la stessa vicenda dei due fratelli che crescendo si allontanano progressivamente, fino al distacco definitivo sancito dall’assorbimento di Salim proprio in quel mondo delinquenziale che fino ad allora aveva costretto lui e Jamal a condurre una vita di stenti e miseria si presentava come ottimo veicolo per gettare una luce, attraverso lo sguardo sincero e spaesato dei fanciullini –secondo una visione che coniuga la tenerezza dell’innocenza alla violenza degli abusi, sulla crudeltà di un sistema che si poggia sulle prevaricazioni: vedi le sperequazioni socio-economiche da cui origina la triste realtà delle baraccopoli indiane, lo sfruttamento dei minori, gli assurdi conflitti generati dagli integralismi religiosi, la speculazione immobiliare di matrice mafiosa, l’atteggiamento spietato e senza scrupoli del cinico presentatore televisivo. A ciò si aggiunge la bella idea di configurare lo sviluppo dell’intreccio inerente allo “show” televisivo come una sorta di stridente contrapposizione tra gli indovinelli del quiz, legati a una rappresentazione ludica della vita, e le soluzioni ad essi che, al contrario, si snodano lungo il travagliato percorso esistenziale di Jamal.
Poi, però, subentra la messinscena “favolistica” culminante con il suggello di una improbabile (quanto stucchevole) storia d’amore che, immediatamente dopo l’immagine pregnante con cui si conclude l’esperienza malavitosa di Salim, fa virare la narrazione verso territori in totale dissonanza con il resto del film.
Peccato veramente, perché con un epilogo diverso Boyle avrebbe fatto pienamente centro.