pompiere 6½ / 10 12/03/2009 16:25:53 » Rispondi Sono lontani i tempi dell’esordio alla regia per Sam Raimi (era il 1982 e il titolo era “Evil Dead”, uscito in Italia come “La Casa”), quando con poche centinaia di migliaia di dollari dava spazio alla sua formidabile creatività. Adesso i tempi sono cambiati, le superproduzioni hollywoodiane hanno le loro esigenze e Sam si ritrova a disposizione un centinaio di milioni di dollari pronti per riesumare uno dei più noti fumetti della Marvel, lo Spider-Man creato da Stan Lee. Per fortuna, il regista americano non perde di vista le sue qualità di fronte all’immensa tecnologia che gli viene messa a disposizione. L’uso del digitale è avveduto e pratico: una su tutte è la sequenza, successiva al morso del ragno, dove si vede il DNA di Peter Parker confondersi con i nuovi geni propri dell’aracnide.
Non dimentichiamoci che siamo di fronte a una trasposizione ottenuta da un fumetto e la sceneggiatura di David Koepp ci riporta spesso alle dimensioni cartacee della striscia a disegni. Lo scritto, infatti, abbandona raramente i confortanti e semplici aspetti del foglio e osa poco oltre; d’altra parte, in questo, non lo si può certo accusare di mancanza d’ispirazione visto che riesce a creare un mondo ben definito intorno al quale gravitano segni visibili della propria genesi. Deve essere stato un po’ lo stesso lavoro che vede impegnato Peter quando pensa a una tenuta efficace per il suo nuovo “io” e si perde tra alcuni schizzi da principiante fumettaro; così come assistiamo alla complessa, sfaccettata e intersecata nascita del supereroe, ci immaginiamo lo sceneggiatore di fronte a una storia già conosciuta che deve essere però ben adattata, ora aggiungendo, ora togliendo, poi inventando. E’ per questo che “Spider-Man” rimane un film tutto sommato gradevole e oltretutto i segmenti prettamente rivolti all’azione sono superati, in minutaggio, dalle parti dialogate e “senza costume”.
Raimi corre in aiuto dei vuoti di sceneggiatura ancorando l’epicentro emozionale del film sulla storia d’amore tra Peter Parker e Mary Jane (il bacio a testa in giù sotto la pioggia è diventato leggendario). Il regista americano lavora senza troppe infiorettature o sussieghi, mostra un’invidiabile modestia autoriale e, visti gli incassi, non possiamo fare altro che dargli pienamente ragione.
Da sottolineare la perfetta aderenza di Tobey Maguire al personaggio di Spider-Man, il suo sguardo è schivo e perentorio allo stesso tempo. Il ragazzo rende bene l’idea di un adolescente che è in piena crescita e maturazione, frastornato al punto giusto per i mutamenti che subisce il suo corpo. Un po’ meno efficace sembra l’interpretazione di Kirsten Dunst che, per quanto delicata possa essere, non riesco a inserirla nella categoria delle attrici promettenti. Altro discorso va fatto per Dafoe: di certo non è a suo agio come in alcuni ruoli drammatici che hanno messo in evidenza le sue capacità recitative, a volte sembra un pesce fuor d’acqua. Ciononostante bisogna premiare il coraggio di essersi messo in gioco con un soggetto “alla moda” che, tutto sommato, non lo fa sfigurare. La personalità del suo Goblin è, come l’uomo-ragno, oppressa da uno sdoppiamento in progress ma, nel suo caso, senza alcun controllo ne ’rimedio. Non si può dire lo stesso per il “figlio di Dafoe”, nel film raffigurato dall’attore James Franco, lui sì davvero scialbo e insicuro.