ULTRAVIOLENCE78 6½ / 10 08/09/2009 07:58:18 » Rispondi Tra un giallo di Agata Christie, un polpettone alla James Ivory e una rappresentazione d’ispirazione “renoiriana” (“La regola del gioco”). Sono questi i binari lungo i quali si muove il film di Robert Altman: un’opera solo in parte riuscita, perché gravata da eccessive prolissità e verbosità che ne fanno disperdere l’intenzionale carica corrosiva. Tuttavia, pur se non all’altezza della vivacità delle dinamiche del referente francese, la costruzione della messinscena è esemplare. Dal principio alla fine s’assiste ad un fluire di situazioni che passano dall’alto dei piani superiori al basso di quelli inferiori, e nelle quali nessuno assurge a protagonista perché tutti sono declassati a comprimari (di nessuno). In questo equilibrato gioco delle parti si fa strada la contrapposizione su cui si fonda tutta la narrazione: da un lato l’aristocrazia, svuotata di qualsiasi emozione (su tutte, le figure della moglie del defunto e del produttore cinematografico americano) e inaridita dalle etichette e dalla smania per una migliore posizione sociale; dall’altro la servitù, passiva e fiaccata dall’assoggettamento, ma con ancora un benefico impulso verso l’amore inteso nella sua accezione più pura: cioè un dare incondizionato che si soddisfa in se stesso, senza bisogno di alcuna aspettativa (in tal senso, le parole di una serva rivolte a un borghese convinto di essere perseguitato dalla malasorte, e il sacrificio della madre nei confronti di un figlio che non potrà mai esserle riconoscente). Da “Nashville” ad “America oggi” Altman s’è impegnato a tratteggiare la società americana nel suo declino verso l’autoannientamento; con “Gosford Park”, pur cambiando ambientazione e contesto sociale, la formula non cambia: anche se l’oggetto dell’invettiva è l’aristocrazia inglese degli anni ’30, quella spinta dissacrante e demistificante che aveva contrassegnato i lavori precedenti del regista americano si ripresenta, seppure con meno nerbo, anche nel film in questione, ma con la differenza che qui –diversamente dalla celeberrima opera di Renoir- viene altresì mostrato ciò che è salvabile dal degrado imper(vers)ante.