julian 8½ / 10 13/05/2010 03:39:45 » Rispondi Ne La critica del giudizio Kant dava una definizione del sentimento del bello: non un qualità propria degli oggetti ma, come ogni altra cosa da lui analizzata, attributo dato dalla percezione dell'uomo. Il bello per Kant doveva essere puro, disinteressato, universale e necessario, ovvero escluso dal campo della logica e dalla morale e riconosciuto da tutti. Sebbene una simile schematizzazione di un filosofo appaia troppo didascalica e sebbene la categoria dell'universalità, applicata alla realtà, possa dirsi totalmente inesistente, si potrebbe ancora oggi partire da questa deduzione kantiana per giudicare parecchie opere (d'arte e non), e in particolare partire da due definizioni di bello: disinteressato e necessario, quest'ultimo nel senso di alogico. La verità è che io adoro i film che mi fanno riflettere e che mi intasano la mente per settimane, tuttavia bisogna riconoscere ad altri un potere diverso: quello dell'evocazione. Queste sono le opere che vanno giudicate attraverso le due definizioni kantiane di bello: senza ragionare, guardando e basta, senza pensare a una presunta o imposta morale, ammirando. Hero è un capolavoro per questo. Anzitutto è un kolossal, ma mentre in America spendono i soldi per distruggere il mondo, i cinesi con la metà riescono a fare poesia. E' un quadro in movimento; uno wuxiapan con effetti speciali alla Matrix che disegnano splendide coreografie in aria laddove, nell'illustre americanata, riuscivano solo ad annoiare; una storia leggendaria che ha dell'epico, anche grazie ai personaggi eroici, dove realtà e menzogna si incontrano perchè, alla fine, non conta se sia l'una o l'altra; una serie di flashback disposti a incastro, ciascuno con la propria tonalità nella fotografia e anche un sapiente mix di generi (come già era successo con La tigre e il dragone) riuscendo a toccare punte di puro e delicato sentimentalismo, a parlare di guerra e a stupire con ripetuti colpi di scena. Senza contare che un occidentale come noi, all'oscuro della cultura cinese e del complesso sistema degli ideogrammi, potrebbe essersi perso l'altra metà dell'opera, quella della corrispondenza tra le arti della spada e dalla scrittura, una cosa inconcepibile per noi, che fatichiamo anche a capire. Il messaggio finale, esplicitato prima dei titoli di coda, è talmente ridicolo da sembrare incredibile. Si tratta, ovviamente, di un'imposizione della produzione, cui ha ampiamente collaborato il governo cinese. Ma in questo caso facciamo fuori la stupida morale imposta e ignoriamo il contesto in cui il film è nato. Rimane un gioiello, da vedere e da godere, incantevole nella sua essenza scrostata da tutto ciò che solo può intaccarlo.