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STORIE DI ORDINARIA FOLLIA regia di Marco Ferreri

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amterme63     6½ / 10  17/08/2010 16:26:06 » Rispondi
Il film è tratto da un opera letteraria di Bukowsky che purtroppo non ho letto. Il protagonista è un poeta, o meglio un essere umano che cerca di cogliere e trasmettere su parola gli intensi e profondi sentimenti umani universali di chi vive reietto, ai margini, dedito a quelli che in genere vengono considerati vizi e perversioni (bere, non avere famiglia, vivere di espedienti, fare sesso per lo più mercenario, ecc.). L'idea di base è che il vivere più vero, profondo e libero, nonché artisticamente più genuino sia questo e non quello socialmente e razionalmente inquadrato.
Questo è il messaggio che esce dalla parte più bella del film, cioè il finale. Purtroppo il film fatica molto a progredire e a focalizzare ciò che vuole comunicare. Lo fa tra l'altro in maniera secondo me non convincente, imperfetta. Di scena in scena, solo alla fine appare chiaro il messaggio.
La storia si focalizza per intero su di un unico personaggio maschile. Seguiamo il suo vivere scioperato e disordinato, sempre attaccato alla bottiglia e sempre dietro gonnelle di donne facili, per lo più prostitute. Ben Gazzarra è un bravissimo attore e dà del poeta una interpretazione molto particolare: occhi dolci, lieve sorriso, rughe ai lati degli occhi; un'immagine di persona carica di pathos positivo, un po' rassegnato e passivo, che si lascia andare ai suoi vizi e anzi li elegge a ideali di vita, breve e stentata ma almeno VITA.
Ciò che non va è soprattutto l'ambientazione esterna. I bassifondi di Los Angeles alla fine degli anni '70 erano forse peggio di quelli che Ferreri ci fa vedere. Secondo me ha usato una mano troppo leggera. Manca lo sporco, il sudore, il degrado civile e umano. Tutto è fin troppo asettico e distaccato. Del resto è lo stile di Ferreri (simbolico e raramente effettivo) ma in questo caso purtroppo probabilmente non riesce a centrare il bersaglio.
Il simbolo del fallimento è il personaggio della prostituta interpretata da Ornella Muti. Dalle vicende narrate si evince che dovesse essere una ragazza molto bella ma molto malata dentro, tanto da autotorturarsi fisicamente. La Muti recita splendidamente la parte della bella, ma fallisce miseramente in quella della prostituta e soprattutto in quella della malata dentro. Non trasmette alcun dolore interiore, niente che faccia presagire l'abisso nero in cui alla fine precipita. Sembra una diva che mostra le sue grazie con tanto di espressioni ammalianti, distaccate e un po' fredde, non il personaggio degradato e disperato del film. Devo dire che la sua bellezza fin troppo perfetta mi ha a volte un po' infastidito. Un po' più di spontaneità e "volgarità" non ci sarebbe stata male.
C'è da dire che Ferreri ha sempre fatto recitare in maniera distaccata e "normale", solo che il soggetto del film non è adatto per questo genere di recitazione o di esposizione di tipo banale-simbolico, tipico dei suoi film. Sono convinto che questo sarebbe stato il soggetto giusto per un film di Peckinpah. Lui sì che sapeva come rappresentare personaggi di reietti, solitari, anarchici, ubriachi e scopatori. Con lui avremmo toccato con mano lo sporco, il degrado, la violenza, l'amore mercenario e la violenza. Ne avrebbe fatto un capolavoro.
Solo che Peckinpah non sarebbe stato capace di rappresentare la poesia. Questo riesce invece a Ferreri nelle bellissime scene finali, in cui in un paesaggio marino cristallino e affascinante va in scena la bellezza semplice e universale di un'adolescente nuda, mentre agili parole poetiche pennellano ed esaltano le immagini. Basta questo per riscattare tutto il film.