jack_torrence 7 / 10 12/10/2010 20:17:54 » Rispondi La maturità registica c'è tutta; resta il sospetto di un esercizio di stile che, pur nato da intenti sinceri (e coraggiosi) è incerto su che strada prendere, e se la cava alla fine con l'espediente di far vivere al protagonista una traslazione. Il suo desiderio di fuga è assunto dal personaggio interpretato da Timi, e mentre lo spettatore, insieme a quest'ultimo, è nel finale libero, quel campo lunghissimo che finalmente ci fa evadere da San Giorgio, include quella porta dietro alla quale il nostro protagonista ha deciso di segregarsi.
Riuscitissima la scelta di fare del protagonista, sin dall'inizio, un personaggio che incarna nei suoi silenzi la reticenza dell'ambiente che lo circonda. Tanto lui è reticente tanto il personaggio di Timi parla, e alla fine la sua capacità di non trattenere dentro (mentendo a sé i propri dubbi) sarà la sua salvezza.
Trattenere e nascondersi i propri dubbi. Di questo il film parla: suggerendo come dietro ogni certezza metafisica si nasconda un dubbio irrisolto, come una cicatrice rimarginata ma non scomparsa.
Purtroppo però il film, per quanto notevolissimo per regia (fotografia, tempi, movimenti di macchina: girare un film che non gira intorno a nessun delitto eppure farne un thriller, tutto dentro le mura di un convento non è cosa da poco), non sviluppa le implicazioni del tema (enorme) che si propone. Si ha il sospetto, come si diceva, che alla fine lo stile abbia prevalso, e la carne messa al fuoco fosse troppa per poter chiudere il discorso così semplicemente.