jack_torrence 9 / 10 24/01/2012 13:17:02 » Rispondi Un film quanto mai importante sotto il profilo allegorico, supportato da uno stile di altissimo livello, il cui uso, anch'esso, riveste un significato molto importante nel panorama cinematografico attuale.
Sotto il profilo allegorico, "Shame" mi appare il film che meglio e più a fondo affronta un tema chiave, antropologicamente, per la società urbanizzata post-industriale del XXI secolo. Quella di Brandon può anche essere una patologia particolare, che in questo senso non può assurgere a condizione generale di tutti. D'altra parte la patologia di Brandon non appare altro che l'estremizzazione di una condizione nella quale, potenzialmente, tutti avvertiamo la possibilità, il rischio, di rinchiuderci. Brandon è anzitutto un individuo solo, che, nella frenesia, non avverte la solitudine bensì il bisogno di isolarsi. Il film inizia, e insiste molto, sulla sua deliberata solitudine domestica. La sua dimensione ideale è quella di un rifugio dalla presenza dell'altro. Il contatto del mondo è filtrato: dalla segreteria telefonica per non rispondere, dallo schermo di un pc per vedere, senza essere visti. La sessualità è una pulsione primaria che non solo continua a venire avvertita anche dalla condizione di monade cui Brandon tende: la sessualità è anche esibita, favorita e diffusa nella società contemporanea, secondo opportunità sempre più facili di fruizione apersonale e consumistica. Modalità che evidentemente ben si accompagnano all'esigenza fondamentale di solitudine. Se questo è il panorama cui il ritratto di Brandon apre lo sguardo, d'altra parte il suo malessere è collegato non all'insoddisfazione sentimentale (che è tiepidissima in lui, quasi inesistente), quanto all'impossibilità di essere realmente solo. Coltivare la propria ossessione in completa solitudine non è possibile: il capo scopre il contenuto del suo hard disk (onta!), ma soprattutto, c'è la sorella, a rappresentare a Brandon l'esistenza dell'altro nella propria vita. Un altro che - e questo è l'elemento scatenante della crisi - ci conosce, è l'unico a conoscere i nostri limiti e vizi, e ci vuole bene, e ha bisogno di cura e affetto: e per questi ultimi motivi destabilizza dal profondo l'impenetrabilità che abbiamo scelto, la corazza che abbiamo indossata.
E' così che Brandon, scoperto dalla sorella a masturbarsi, prova un livello insopportabile di onta, e decide di rimettere in discussione il proprio approccio esclusivamente consumistico. Prova a dare una possibilità a una donna. Lo tradisce la propria fragilità psichica: un coinvolgimento sia pur minimo, ed è impotente. Da quel momento quanto vediamo accadergli è conseguenza di una frustrazione tremenda: si autopunisce, va fino in fondo in quella che percepisce come abiezione, in un disperato tentativo di catarsi. La sorte lo punisce: proprio mentre consumava una notte particolarmente "scellerata", la sorella con il suo tentativo di suicidio lo mette di fronte a un senso di impotenza e di inettitudine alla vita affettiva, ancora più forti.
Il finale è aperto, bellissimo: cosa farà Brandon? L'analogia (quasi da deja-vu) della donna sposata in metropolitana, del gioco di sguardi con lei, lo mette di fronte alla possibilità di una scelta, simbolica, immediata. Alzarsi e seguirla, oppure restare seduto: non cambierà la sua vita, ma potrebbe essere un gradino per uscire dal loop. Uscirà dal loop Brandon? McQueen ha esaurito quanto voleva dirci, lascia finalmente libero il suo personaggio.
Lo stile di McQueen, la sua potenza visiva è capace di coinvolgere in maniera straordinaria, stando addosso al personaggio (e avvalendosi di un'immedesimazione mimetica, epidermica da parte di McQueen). Il racconto è lento, minimalista. "Shame" è la dimostrazione di quanto sia importante il minimalismo e di quanto possa essere potente. "Shame", da questo punto di vista, è il crocevia tra le lezioni del minimalismo post-moderno di un Carver, o di uno Huellebeq, e lo stile cinematografico di Bresson, cui tantissimo rimanda e cui tantissimo deve, a partire dall'attenzione per la fenomenolgia dei gesti e del corpo.
Infine, "Shame" costituisce, insieme al precedente "Hunger", una coppia di film incentrati sul corpo. Là dove "Hunger" era la rappresentazione di un uomo in grado di dominare un istinto primario come la fame, dotato di una forza di volontà impressionante, capace di trascendere il corpo sino all'estremo, "Shame" è la messa in scena deliberata di un uomo viceversa dominato da un istinto, e la cui debolezza di volontà è specchio della sua incapacità di controllo sul proprio corpo.
Dom.Marchettini 07/02/2012 05:21:58 » Rispondi Davvero un signor commento. Mi tolgo il cappello e corro al cinema! Dopo l'ottimo "Hunger" sono sicuro che McQueen non deluderà le aspettative.
kubrickforever 24/01/2012 17:07:34 » Rispondi Ehi Stefano, bel commento davvero. Solo in una cosa non sono d'accordo
io questo desiderio di catarsi da parte di Brandon non l'ho visto. Ho letto la scena della notte brava come estremizzazione della sua volontà di lasciarsi andare alla sua dipendenza, e nel raggiungimento della catarsi (quando Fassbender cambia espressione nel rapporto a tre) prova vergogna per sé stesso. Fino a quel momento la vergogna non c'era, solo un senso di tensione crescente per l'equilibrio spezzato dall'entrata della sorella nella sua vita.
Ovviamente è un mio punto di vista, ma il bello di questo film è anche questo. ;)
jack_torrence 26/01/2012 16:23:13 » Rispondi E'vero, non c'è un desiderio di catarsi; forse, secondo me (questo ci ho letto), c'è però quello che si dice "desiderio di toccare il fondo", per risalire. Sbaglio o è una forma di catarsi? Nel senso di un'esperienza intensa, possibilmente definitiva, brutale, per poter finalmente distaccarsi da qualcosa.
kubrickforever 27/01/2012 17:47:50 » Rispondi devo rivederlo, son troppi i passaggi importanti da memorizzare in una singola visione. Ne riparleremo, promesso! :D