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IN TIME regia di Andrew Niccol

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Invia una mail all'autore del commento pompiere     6½ / 10  22/02/2012 17:32:10 » Rispondi
In un avvenire distopico, uomini progettati per smettere di invecchiare a 25 anni corrono contro il tempo. Il loro problema infatti è che potrebbero vivere più a lungo solo guadagnando altro tempo. I ricchi possidenti di risorse temporali sono in grado di prendersela comoda e vivere per sempre, mentre i più poveri devono scarpinare duro tra fabbriche che retribuiscono sempre meno e costo della vita che sale.

Will Salas (un Justin Timberlake quasi sempre verosimile e autoritario) ha ancora 24 ore. La madre già 50-enne, e nel film con un aspetto da fresca teenager visto che il declino fisico si arresta con l'età (non sia mai che a Hollywood trovino spazio per un ruolo di donna matura, per cui via libera ai giovincelli di bell'aspetto e vili speranze) ha ancora 3 gg., come sentenzia impietoso il display verde fosforescente sull'avambraccio sinistro, presente su ogni essere umano al posto di un tatuaggio, o dell'orologio.

Tali "futuristi" si donano tempo vicendevolmente in un processo trasfusionale che mira a salire i gradini della sopravvivenza. Chi ha tempo paga le bollette, beve i caffè, gioca a poker. Gli altri muoiono senza piangere. Andrew Niccol, già ammirevole sceneggiatore di "The Truman Show", si avvale ancora una volta del cinema come strumento di meditazione sull'anomala e moderna società "educata".

Will, grazie a un inatteso introito "orologesco", si trasferisce a Time Zone, dove sembra di stare in mezzo ai favoriti del governo Monti: tutti gli uomini vestono di scuro e in eleganti mise schermate (penso ai miracoli fatti da Roger Deakins per farli apparire credibili). Un gruppo composto da una casta di intoccabili che tradisce un modus operandi sottilmente classista e un forte potere di negoziazione. Salas sembra aspirare al posto fisso, anziché sbattersi tra un co.co.pro. e un lavoro di manovalanza a tempo determinato. In realtà tenta di ridistribuire generosamente la ricchezza, fuggendo dalla disparità per raggiungere una tolleranza temporale. Quadretto familiare ideale per lui e la piacente nonché repressa ereditiera Sylvia (Amanda Seyfried). I due scagliano pallottole come moderni Robin Hood tra foreste di cemento, e cercano di farsi valere agli occhi del padre di lei, addetto ai "Monti di Pietà".
La trama procede spingendo dentro i custodi del tempo, controllori più pedanti della Guardia di Finanza (non ci vuole molto, direte voi), e comunque cattivi, spietati e insensibili. Fanno parte della casta ma ogni tanto simpatizzano con i meno abbienti: tengono gli stivali in due staffe, tanto per non sbagliare. Poi ci sono i cattivi che rubano solo ai poveri del ghetto, quelli del ghetto che si rubano a vicenda e quelli ricchi e cattivi che, in una schermaglia abbastanza risibile, si rivendicano vite negate da una generazione all'altra. Il tutto scorre senza che la scrittura eluda quelle trappole da film action che tendono a moltiplicare inutilmente i personaggi nello sforzo di sottolineare gli effetti negativi dati da una netta distinzione tra bene e male.
Comunque sia il messaggio di fondo non è penoso: esiste un conflitto tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Ricarichiamo iPhone, bancomat, carte prepagate (con gli euro veri, attenzione), e ci compriamo il tempo per telefonare, prestarsi a shopping compulsivo, navigare su internet, sciORINARE su Facebook (quanto tempo è passato dall'ultimo aggiornamento di stato?). Manchiamo semplicemente di coerenza, e preferiamo sdraiarci sul divano dimenticando che il tempo scorre inesorabile.