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KING KONG regia di Peter Jackson

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Invia una mail all'autore del commento montypython     6 / 10  31/01/2006 20:09:32Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Premessa: il voto reale è tra 5/6 a 6=

Jackson raddoppia e dopo l'imponente saga del signore degli anelli, si impone, appunto, con un altro kolossal (in tutti i sensi), KING KONG; ma aldilà dell'amore che PJ prova per questo film (l'originale), o meglio proprio a causa di questo amore spassionato, il film si rivela in gran parte un buco nell'acqua ingigantito dalle sue manie di grandezza (registica) che sminuiscono, per contro tutto il film.
Una cosa va detta: l'inizio è bellissimo.
In pochi minuti Jackosn riesce con pennellate veloci e vivaci a inquadrare un epoca, quella della New York degli anni 30, con i suoi sogni e le sue speranze, i suoi vizi e le sue virtù, componendo un affresco storico sociale straordinario, aiutato anche da un montaggio frenetico (che si prolungherà durante tutta la prima parte del film) che non dà allo spettatore il tempo di respirare e capacitarsi dell'epoca in cui è stato catapultato, l'era di Brodway.
Aiutato dalla perfetta ricostruzione di New York, il tuffo nel passato è totale, il tutto contornato da una sceneggiatura pungente e divertente, che dà luogo a esilaranti scenette e riesce a tratteggiare perfettamente i personaggi fin dalla loro prima entrata in scena: dalla bella, al regista, dallo sceneggiatore el geniale divo del cinema, incarnazione del nuovo divismo hollywoodiano proprio di quegli anni che elimina la sottile linea di demarcazione tra attore e personaggio, persona e nuovo dio olimpico (geniale la scenetta delle locandine e quella del pettine a mò di baffi).
Tutto fa ben sperare, ma poi succede.
Jackson esce da New York.
Ed ecco tornare a quei campi lunghi immensi, quelle panoramiche da cartolina, quel gusto ossessivo per il gargantuesco che tanto aveva caretterizzato - e annoiato - la trilogia del signore degli annelli.
Non solo,il tutto viene accompagnato da una serie di inquadrature al rallenty, con movimenti di macchian a dir poco epilettici e Zoom da film di serie b, di teschi e teschietti, idoli e scheletrini a dir poco banali e tutt'altro che inquietanti. Questa in sintesi la regia di King Kong, che non si presenta poi tanto diversa dalla mai troppo blasonata trilogia del signore degli anelli. Ma se quelle riprese epilettiche aggiungono un malriuscitissimo intento di parodia di un genere da cui Peter Jackson stesso proviene, quel susseguirsi di paesaggi infiniti, quegli affreschi di natura mai troppo incontaminata, di cui Jackson abusa ha l'unico risultato di creare un album fotografico delle vacanze o un documentario mal riuscito.
Jackson dunque si gioca le stesse carte lungo tutto il film, mettendo in secondo piano, a livello contenutistico quanto a livello di linguaggio cinematografico, quelle scene che davvero avrebbero meritato quei campi lunghi, sminuendo, di fatto, l'intero film.
Lo stesso King Kong appare piccolo e idnifeso al cospetto di quella natura imponente dipinta da Jackson, di cui lui dovrebbe essere il dominatore, e, al tempo stesso questo abuso conformizza tutto il film, rendendo indistinguibili i luoghi e non mettendo il risalto il repentino cambiamento di Kong da re incontrastato della natura a dominatore dominato nell'immensa New York nel mondo degli uomini.
E anche se tentassimo, forzando, di salvare questo tipo di regia, iquadrandola come un richiamo agli impianti colossali di De Mille - che lui stesso cita nel film- il tutto verrebbe sconfessato da quelle inquadrature che altro non sono che inevitabili dèjà vu della sua precedente trilogia, da il fosso di Elm (praticamnete identico il recinto dell'isola) e della città diroccata nel ritorno del Re (il villaggio degli indigeni).
Ma il continuo sfaldarsi del film non è, purtroppo, esclusivamente dovuto alla regia, ma la parte maggiore la fa la sceneggiatura, tanto frizzante e geniale all'inzio, quanto banale e scontata man mano che la pellicola va avanti. Tutta la parte centrale è, infatti, dominata dalla più totale illogicità e inverosimiglianza, in cui la spettacolarità prende il posto della sceneggiatura e della credibilità delle scene di azione, a partire dalla scoperta dell'isola avvenuta, non lungo la rotta designata dalla mappa, ma da quella opposta, dal momento che ci cozzano contro quando invertono la rotta per tornare indietro e consegnare il regista alla polizia.
La parte concernente il salvataggio all'interno dell'isola è a dir poco sconcertante per la quantità di clichè, stereotipi, distorsioni delle più elemntari delle leggi fisiche, utilizzate.
La prima incongurenza è palese e accompagna e fa da base per tutta la sequenza all'interno dell'isola; a dispetto di quello che ci fa vedere PJ, un'isola abnorme, pare che in realtà sia grande quanto una piazzetta di quartiere, giacchè chiunque vi netri è capaci di orientarsici con estrema facilità e senza l'ausilio di alcuno strumento, anzi la facilità con cui i protagonisti si ritrovano e si perdono è disarmante.
Premesso questo, il resto viene da sè. Cariche di brontosauri infuriati lungo la gola, personaggi che sfruttando tutta fortuna a loro disposizione, riescono anon farsi schiacciare neanche per sbaglio evitando, manco fossero Tomba, con estrema facilità tutte le enormi zampe dei brontosauri in fuga, calci volanti e pungni alla Van Damme a Velociraptor incapaci anche solo di azzannare un uomo, tirannosauri la cui animazione è una offesa al realismo di Jurassic Park, ragazze rapite che nonostante vengano sbalottolate di qua e di là da uno scimmione di 9 metri per chilometri dentro una foresta, non accennino nemmeno un qualsivoglia sconvolgimento intestinale, nè tantomeno accennino a perdere il loro trucco da dive,;combattimenti tra tirannosauri e scimmioni che sembrano incontri di wrestling, lotte aeree impossibili tra le liane, insetti e vermoni alla starship troopers, ragazzini che mai avevano avuto tra le mani un arma che acquistano una abilità di precisione stupefacente, il solito nero che muore, salvataggi impossibili all'ultimo minuto, persone che dopo essere state attaccate, in ordine, da brontosauri, velociraptor, scimmioni, insetti giganti e vermi spaziali, se ne vanno in giro per la foresta da soli e senza uno straccio di arma; Vampiri alla Van Helsing che sembrano far più danno dei T-rex a Kong, voli improbabili a bordo di un pipistrello, acrobazie alla Matrix,, pugni volanti, calci spiazzanti, attacchi rotanti e chi più ne ha più ne metta.
Così a metà tra Starship Troopers e un film di arti marziali il film va avanti fino alla sequenza finale a New York.
E, come volevasi dimostrare, laddove torniamo ad un mondo meno incontaminato,fatto soprattutto di interni e spazi stretti, la regia di PJ migliora e torna, almeno per un po' a quella frizzante e funzionale alla ricostruzione di un epoca, di cui già all'inizio avevamo notato l'alta qualità a dimostrazione di quanto PJ riesca a familiarizzare con la New York degli anni 30. Così la presentazione di Kong al pubblico diventa lo specchio di una società che cerca di uscire a fatica da uno dei sue più grandi disastri economici, la grande depressione del '29, cercando di scaricare le sue frustrazioni e le sue paure sul palcoscenico, sull'ignoto, sullo spettacolare, sui divi di hollywood (non a caso Buxter torna ad essere una parodia di sè stesso in quella veste di esploratore coloniale); il tutto incorniciato da delle coreografie Kitsch quanto sorprendenti che ricordano, alla lontana, quelle del Macbeth - Vodoo teatrale di Welles.
Ma da quando Kong si libera, tutto torna come prima e il film ricade nella banalità registica e (suo malgrado) contenutistica. Nonostante la ricerca di Ann da parte di Kong, infuriato, all'interno di un mondo a lui sconosciuto entro cui riesce a muoversi a malapena (eloquente, in proposito, la sua difficoltà a muoversi sulla neve decembrina di New York), sia una delle scene migliori del film, il tutto viene sminuito, al solito,da una regia forzatamente spettacolare che, se fosse stat dosata durante tutto l'arco del film, avrebbe conferito alla New York ricostruita da PJ quella immensità necessaria a delineare e a marcare ancora di più l'incapacità di Kong a orientarsi in un mondo non suo, che lo domina. Mentre l'abuso fatto in precedenza svaluta e conformizza questa sequenza finale a tutte le altre, con il risultato che lo spettatore si perde in questi spazi immensi, senza fine, in queste inquadrature a volo d'aliante, senza che la macchina riesca a guidarlo nell'interpretazione del film, privo di punti di riferimento a cui ancorarsi. Così i momenti di vero pathos, i muti sguardi tra Kong e Ann (a dimostrazione della grande bravura di PJ nell'uso del campo medio e dei primi piani), il profondo rapporto tra la bella e la bestia costruito d PJ nella sceneggiatura, l' ottima rilettura di un classico, vengono oscurati da una regia che vuole strafare e stupire prima di qualsiasi altra cosa, portando tutto in secondo piano. La scena dell'Empire, vero cardine del film, con quel rincorrersi su e giù sulle scale riesce a stuprare uno dei miti collettivi della cinematografia, riducendolo a siparietto comico, piuttosto che tragico, e l'arrivo dello sceneggiatore rovina in qualche modo tutto quello costruito prima, facendo presto scordare quali amorose corrispondenze venutesi a creare tra Ann e Kong, fino a qualche minuto prima a limite del catartico. La fine, con quella battuta pronunciata da un Black in stato di grazia (ma la sua carriera è lì a dimostrare che è qualcosa di più di una eccezione) "è la bella che uccide la bestia", chiude degnamente il film, rendendolo cupo e amaro come doveva essere, lasciandolo aperto quanto basta per far riflettere lo spettatore, creando dubbi come nell'intento di PJ.
Un capolavoro mancato, questo King Kong, che ha visto PJ voler strafare, al suo solito, con la regia spettacolare e da cartolina, e cadere nella trappola del remake nostalgico, che vuole omaggiare troppo mettendo in secondo piano una rilettura attenta e profonda, piena di spunti originali e nuovi che sfiorano, come raramente, ormai, in questi tempi, l'estasi cinematografica.
Peccato.
frine2  06/02/2006 00:43:02Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Un bellissimo commento, complimenti. Davvero accurato e interessante di per sé. Ma...in sostanza, il film lo consigli?
RRBB  09/02/2006 14:44:12Nuova risposta dalla tua ultima visita » Rispondi
Complimenti anche da parte mia per la recensione accuratissima e scritta con un ottimo stile.