Filman 7½ / 10 15/09/2025 12:41:24 » Rispondi L'operazione commerciale che introduce 28 YEARS LATER sembra voler emulare i grandi fenomeni e i blockbuster contemporanei (esempio: Avatar), proponendo un sequel dopo svariato tempo e sfruttando la scia del racconto, dividendola in più capitoli per delle parti successive. Ma 28 Giorni Dopo non era un blockbuster come lo intendiamo oggi e neppure questo lo è. L'ultima opera di Danny Boyle mantiene fedelmente lo stile punkettaro che aveva il primo, moderno, film di zombie del 2003, fregandosene della possibilità che l'infetto, fatto con velocizzazioni video e overacting, sia obsoleto, fregandosene dell'attualità del tema e fregandosene di voler essere simile agli horror super-remunerativi degli ultimi tempi. Insomma, fregandosene. Più punkettaro di così? Quindi il regista mette in scena il film alternando scene visivamente morbide e colorate ad invenzioni (una specie di fermo immagine in movimento ottenuto da una serie di obiettivi sincronizzati) che sembrano pensate per un videoclip pulp, alle quali si aggiungono riprese rosse in notturna ed altre follie estetiche. E nel film ci si può trovare tanto le canzoni rock quanto musiche orchestrali. Lo spirito anarchico e schizzato del primo film, che ignora gli standard dei nuovi horror d'autore, livellati e tirati a lucido, compresi dei loro benefici, viene riproposto con fermezza. Altra inamovibile certezza è lo spirito british che definisce il background post-apocalittico: medievalismo e passatismo di epoca normanna, birre al pub, vita da isolani, eccetera. All'interno di questo quadro, abbastanza chiaro negli intenti, lo sceneggiatore Alex Garland propone la sua classica storia con il suo classico svolgimento "on the road", fatto di tappe, eventi isolati ed incontri. Qui abbiamo pesi e contrappesi del film, il quale parte con un incipit molto lungo, un po' timido nel bollare la figura mascolino-tossica del padre, per poi lanciare madre e figlio nel loro viaggio all'interno di uno scenario che è da un parte un po' monotono nel suo tema boschivo e dall'altra povero di picchi emotivi/estetici. Questo appare molto chiaro nella meravigliosa parte finale con Ralph Fiennes, che chiude in maniera poetica una morale sull'accettazione della morte e del ciclo della vita, che tuttavia.... non è mai iniziata! E quindi, nel mentre si è abbagliati dalla struggente e meravigliosa sequenza all'interno del santuario di ossa, ci si chiede: ma da quando la malattia della madre o il rapporto tra sopravvivenza e morte sono stati al centro del racconto? Rimane un forte senso di amaro in bocca, perché Danny Boyle è riuscito a creare la sequenza con Marlon Brando (giallo come Fiennes) dimenticandosi che Apocalypse Now era anche tutto quello che accadeva prima, rivelandoci ciò che questo film poteva essere, forse voleva essere, ma non è stato: un viaggio introspettivo, spirituale e metaforico con al centro un rapporto madre-figlio. Un potenziale capolavoro mancato.