kowalsky 8 / 10 05/11/2005 00:11:53 » Rispondi Prima di tutto dovrebbero vergognarsi gli spettatori che disertano le sale preferendo temi piu' rassicuranti (davvero?). Secondo, è incredibile come ancora oggi la prosa di Dickens generi tanti malintesi e fraintendimenti: lo si poteva imputare di parlare un linguaggio edificante, di evocare orfanelli e sentimentalismo, il ricorso alla commozione facile, etc etc che comunque riguarda solo una minima parte della sua opera, ma dell'invettiva sociale in piena Era Vittoriana vogliamo dirne qualcosa? Se potessimo dimenticare gli stereotipi con cui si guarda oggi a Dickens scopriremmo una sorta di apologia degna di un successore tedesco (magari piu' ideologico) come Bertold Brecht. Fatta questa premessa, il Dickens secondo Polansky è un film splendido, con un'ammirevole capacità di essere sobrio e ricco allo stesso tempo. Se nei primi venticinque minuti tutto sembra fin troppo calcolato, fin dai titoli iniziali che sembrano enfaticamente riproporre il linguaggio para-televisivo del celebre "Tess", successivamente entriamo in una dimensione che, pur fedelissima al romanzo, rispecchia la decadenza sinistra del cinema di Polansky, la sua aderenza alle immagini, immettendo un contrasto affascinante tra i colori della Londra diurna e quella - inquietante nebbiosa eppure così cool - delle luci della notte. Anche attraverso l'uso della mdp Polansky aderisce bene alla società Dickensiana fatta di folle giustizialiste, di barricate, di linciaggi popolari, di ingiustizia sociale, tanto che la sensazione (virtuale ma introspettiva) dello spettatore è lo sgomento davanti all'uso disinvolto della forca. Movenze da film muto fanno del nuovo Fagin una sorta di inquieta rappresentazione del Mr. Hyde dei tempi di Lionel Barrymore, a tratti pacioso e patetico, mentre accentua la spregevolezza di Bill come aveva già fatto la bellissima versione cinetelevisiva del 1982 inpersonata da un'incredibile Tim Curry nel ruolo appunto di Bill... Quindi, se non erro, dopo il classico di Lean, il musical, l'animazione del 1971, e appunto il film televisivo di Donner (con reminescenze horror), oltre a un inedito, questa di P, dovrebbe essere la sesta versione del romanzo. A parte la perfetta ricostruzione ambientale, di questo O.T. rimane tuttavia molto: sequenze come l'incontro di Nancy sul Tamigi coperto dalla nebbia, la fuga di Bill sui tetti, l'apologo dell'ultima visita a Fagin nei lunghi corridoi di un lugubre carcere, sono momenti di immenso lirismo scenografico, Puo' darsi che Polansky abbia perduto la voglia di disorientare lo spettatore (e a giudicare dai pochi spettatori presenti in sala, farebbe anche bene non se lo meritano), ma il "suo" Dickens non è mai inutilmente piagnone o edificante, e celebra soprattutto, anche attraverso gli occhi dei ragazzini di strada, un classico topoi del suo cinema: il Male non è mai frutto di esperienze individuali, e coinvolge anche l'impossibilità - per dirla alla De Andrè - di "far nascere fiori dal letame" E' tutto questo il segreto di un bellissimo film
Forse la gente non è attirata da Dickens perché si aspetta il "solito" Scrooged???
Rimandiamoli allora a leggere "Casa Desolata" e "Il mistero di Edwin Drood"....
PS: il Sangiovese??? Non dovevi offrire del buon vinello veneto da cantina marinara???
kowalsky 07/11/2005 22:35:21 » Rispondi Comunque ho sbagliato.,. non è del tutto vero che l'addattamento di P. è fedele al romanzo, ci sono diverse sfaccettature e poi manca il finale, quello vero... sai che penso? Che Polansky abbia cercato in Dickens qualcosa da "personalizzare". Che il vero protagonista del film alla fine sia Fagin, simbolo del Male sociale cammuffato da "desiderare la roba d'altri", quello scrigno che custodisce come una gazza ladra, e che guardacaso non è solo un insieme di oggetti di alto valore ma anche di importanza affettiva per i malcapitati che ne sono stati derubati. Penso che a Polansky interessasse proprio Fagin, e quel senso di redenzione che è impossibile quando si nasce in una situazione sociale carente... ci sto pensando molto. Grande film, comunque.
È vero, Dickens dovrebbe uscire fuori da certi stereotipi che lo imprigionano in abusati schemi, prima di tutto perché sa offrire al lettore materia di riflessione, nonostante all’apparenza possa sembrare uno scrittore edificante e moralista. Forse il fraitendimento nasce dal fatto che lo scrittore non usa toni apertamente polemici e non opera quella rottura totale che da lì a poco avrebbe investito la letteratura tra fine 800 e inizio secolo. Quello di D. è humor sottile che s’appunta s’una galleria di personaggi minori colti nelle ambizioni d’ascesa sociale, nelle meschinità e manie più nascoste…l’ostilità generale verso l’apparente “perbenismo borghese” di D. mi ricorda l’antipatia che spesso si nutre verso Manzoni a causa della sua eccessiva religiosità e per la presenza costante sulla scena di personaggi più simili a santini che ad esseri umani. Però, poi, si dimentica la sua strabiliante capacità di cogliere così acutamente gli uomini, la psicologia delle folle, l’ignavia dell’uomo comune, la nascita ed il perventimento di una mente (es. la monaca) che, come tu stesso dici del Fagin dickensiano, non è mai solo il risultato delle scelte di un singolo, bensì frutto di responsabilità collettive.
kowalsky 08/11/2005 20:32:51 » Rispondi perfetto... hai detto tutto tu... la cosa strana è che sembra un film tanto lineare e dal respiro classico che ti sembra ci sia poco da dire... ma piu' ci pensi e piu' certe sfumature personali anche di Polansky vengono alla luce... a Dickens bene o male devo l'ingresso procace nel mondo dei libri, lui e Jules Verne: non posso non essergli quantomeno affezionato
antoniuccio 09/11/2005 23:11:32 » Rispondi Ciccio, te lo chiedo di nuovo: lo leggiamo contemporaneamente "Il circolo Pickwick"?
kowalsky 05/11/2005 00:30:25 » Rispondi Brecht cent'anni dopo, voglio dire (accidenti a me che scrivo troppo in fretta)
paul 05/11/2005 00:47:14 » Rispondi Uella, finalmente siamo d'accordo su un film!
kowalsky 06/11/2005 14:51:12 » Rispondi Eh già festeggiamo con un sangiovese?