kowalsky 7 / 10 19/07/2006 22:29:03 » Rispondi Inizia alla De Santis (cfr, il lugubre tributo a "Riso amaro" con le vedove atte a posare fiori nelle tombe come se fossero le mondine del nostro neorealismo italiano) e finisce con Visconti ("bellissima"). Una direzione di attrici praticamente magistrale, sublme melange di grottesco e melodramma, di noir e commedia: aggiungerei che mai come in Volver tutto questo si amalgama quasi alla perfezione. Ottimo film nel suo genere, certo, tassello di una maturitè indiscutibile soprattutto dopo il passo falso di "la mala educacion", film misurato ed espressivamente coerente, fino alla fine. Ma un po' troppo prevedibile: ho l'impressione che il cinema di Almodovar sia troppo simile a se stesso. se parliamo di script, un nome dovremmo farlo, ed è quello del brasiliano Amado. "Volver" ammicca ad una femminilità totale e il suo maggior pregio (ma anche il difetto di un'apparente fatalismo sociale) è il rapporto quasi morboso con la morte. Non è mai rimozione, quando non puo' il ricordo cancellare l'amore, ma lo diventa quando esibisce i segni di una "perdita" che non dovrà più... tornare. Pensiamoci bene: il ricordo della compianta madre (e la sua "morte indotta" come segno di sacrificio anche affettivo) e la disperazione luttuosa per un'anziana che vive sola non sono altrettanto sentiti davanti alla malattia probabilmente mortale di un'amica. Peggio: davanti al fatalismo del rito e dell'esperienza del dolore come "scoperta" la disperazione (o meglio rassegnazione) della paura e dell'imminente fine altrui è vista con un certo fastidio. C'è una grande solidarietà, ma la solidarietà porta i segni anche di un'inquietante parassitismo, una specie di larva che grava come una difesa nell'universo femminile di Almodovar. Nel bisogno di "sterminare la natura dell'uomo" e con ogni mezzo, esiste una labile barriera tra i propri bisogni e il desiderio d'indipendenza, che forse è solo l'accettazione della propria (e falsamente libera) individualità sessuale Più interessante, l'accettazione del mondo del paranormale appare come un bisogno occidentale fin troppo evidente di liberarsi dal passaggio della vita e dalla condanna eterna della morte. Nell'insieme di eventi "telefonati", dove è praticamente impossibile pensare ormai ad Almodovar senza i drammi che frastornano i suoi script più recenti, Almodovar si prepara a diventare autore EUROPEISTA nell'accezione più completa del termine. Per un film che tributa omaggi alle Loren e alle Mangano di qualche decennio fa, è evidente che la procacità imprevista della Cruz racconta una tipologia di cinema come ha tentato invano di raccontare Tornatore in Malena. Non un capolavoro, per quanto mi riguarda, ma un film che merita tuttavia di essere visto: e non tanto per la Cruz, bravissima, ma un po' troppo istintivamente simpatica e solidarizzante - specialmente con le sue doti di ristoratrice - quando prepara gustosi piatti ispanici, amministra il suo patrimonio, riscopre di essere figlia, canta una vecchia canzone, e seppellisce il bieco consorte... sic. Soprattutto per Carmen Maura, in un ruolo davvero mirabile, prima corrosa dalla vecchiaia e dall'esilio dalla vita, poi improvvisata cittadina dell'est con effetti gustosamente manieristici, infine alla disperata ricerca di rapporti spezzati, perduta tra il sorriso ritrovato e le lacrime di un passato che è anche il suo presente. Almodovar alla ricerca di un museo ideale di ritratti femminili imperfetti poichè belli rischia però di essere troppo abile nel sedurre le sue signore. O lasciarle sedurre da noi spettatori, soprattutto
Pasionaria 20/07/2006 14:15:07 » Rispondi "Pensiamoci bene: il ricordo della compianta madre (e la sua "morte indotta" come segno di sacrificio anche affettivo) e la disperazione luttuosa per un'anziana che vive sola non sono altrettanto sentiti davanti alla malattia probabilmente mortale di un'amica. Peggio: davanti al fatalismo del rito e dell'esperienza del dolore come "scoperta" la disperazione (o meglio rassegnazione) della paura e dell'imminente fine altrui è vista con un certo fastidio."
Verissimo, ho percepito questo particolare come una stonatura all'interno dell'armonica melodia del film.
"Almodovar alla ricerca di un museo ideale di ritratti femminili imperfetti poichè belli rischia però di essere troppo abile nel sedurre le sue signore. O lasciarle sedurre da noi spettatori, soprattutto" Anche per questo lo amo appassionatamente.
kowalsky 20/07/2006 20:36:03 » Rispondi Ma poi come te la spieghi? Una sorta di inconscia e fastidiosa rimozione che accade proprio quando gli equilibri sono stati ritrovati? Ho letto la rece
nextam 26/07/2006 21:46:04 » Rispondi "Volver ammicca ad una femminilità totale e il suo maggior pregio (ma anche il difetto di un'apparente fatalismo sociale) è il rapporto quasi morboso con la morte. Non è mai rimozione, quando non puo' il ricordo cancellare l'amore, ma lo diventa quando esibisce i segni di una "perdita" che non dovrà più... tornare. Pensiamoci bene: il ricordo della compianta madre (e la sua "morte indotta" come segno di sacrificio anche affettivo) e la disperazione luttuosa per un'anziana che vive sola non sono altrettanto sentiti davanti alla malattia probabilmente mortale di un'amica. Peggio: davanti al fatalismo del rito e dell'esperienza del dolore come "scoperta" la disperazione (o meglio rassegnazione) della paura e dell'imminente fine altrui è vista con un certo fastidio. C'è una grande solidarietà, ma la solidarietà porta i segni anche di un'inquietante parassitismo, una specie di larva che grava come una difesa nell'universo femminile di Almodovar." ...ti prego kow esprimi in concetti piu' semplici per me cio' che hai voluto dire in questo passaggio che ti ho riportato... non mi vergogno a dire che mi sono perso. saluti.
kowalsky 28/07/2006 20:53:47 » Rispondi Sul "ricordo che non potrà cancellare l'amore ma lo diventa quando esibisce i segni di una perdita che non dovrà piu' tornare" mi riferivo al marito della protagonista. Per "fatalismo sociale" forse avrei dovuto esprimere meglio il concetto: femminilità o femminismo (il tema dell'indipendenza affettiva dagli uomini per es.) A. rischia di omologare le donne in una solidarietà prevedibile che secondo il mio punto di vista non è poi tanto spiccata come i suoi film vorrebbero farci credere. Sul discorso dei diversi tipi di atteggiamenti di dolore ha già detto tutto Pasionaria, è proprio quello che intendevo io... Solidarietà = parassitismo = l'amica secondo me e con la sua malattia tende un po' forzatamente a reclamare la solidarietà delle altre anche forse per il suo spirito di sacrificio nell'aver accudito fino alla morte un'anziana sola. Il suo personaggio è interessante perchè finisce per preservare quello spirito di sacrificio che diventa (vista anche la sua malattia) vittimismo, e - come detto sopra - non è visto positivamente dalle amiche. Spero di essere stato eloquente ciao
come sai questo film l'ho visto ma non sono riuscita a commentarlo e forse proprio perchè ho sentito questa forte seduzione di almodovar, è bastato far parte di un gruppone di donne ed è scattato il parallelismo :-)
riguardo a questo:
"Pensiamoci bene: il ricordo della compianta madre (e la sua "morte indotta" come segno di sacrificio anche affettivo) e la disperazione luttuosa per un'anziana che vive sola non sono altrettanto sentiti davanti alla malattia probabilmente mortale di un'amica. Peggio: davanti al fatalismo del rito e dell'esperienza del dolore come "scoperta" la disperazione (o meglio rassegnazione) della paura e dell'imminente fine altrui è vista con un certo fastidio."
verissimo il fastidio, ma oltre il parassitismo, mal tollerato se ci riesce a sollevare dalle sofferenze, ho anche percepito la volontà di mitizzare la morte e il paranormale al punto che il dolore presente viene in qualche modo "rifiutato". è più "facile" lasciarsi cullare da dolori passati e "rivisitati" con il senno di poi , piuttosto che ripercorrerli. ciao luchino! :-)
Jellybelly 07/08/2006 15:37:46 » Rispondi Ma va là, Volver è una mezza schifezza!