martina74 9 / 10 06/12/2006 18:01:04 » Rispondi I bambini e la guerra sono, per noi, un'entità quasi astratta: li vediamo con le facce spaventate in foto d'agenzia e filmati al tg, li vediamo anche morire in diretta come il piccolo palestinese perito di colpi nemici tra le braccia del padre, passato in tv almeno un milione di volte. Li vediamo attraverso i loro disegni, che psicologi volenterosi fanno rientrare nelle terapie di recupero per le loro piccole anime sconvolte. Mai avevo visto raccontare una bambina come ne "Il labirinto del fauno": la piccola Ophelia è sola di fronte a una violenza molto più grande di lei e si rifugia in un mondo fatto di fiabe nere, di creature ambigue che la mettono alla prova, proprio come nella vita di ogni giorno. Le prove da superare le danno il coraggio per affrontare la tragica realtà di un paesino devastato dalla caccia franchista ai resistenti, dalla perdita prima del papà poi della mamma, dalla presenza di un crudele patrigno che obbedisce ciecamente alla volontà di un dittatore spietato. Il labirinto del fauno è una fiaba tragica e bellissima, che contrappone - fondendole - realtà e immaginazione in un continuo narrativo senza discontinuità. Molti commenti insistono sull'efferatezza della violenza, ma ancorchè essa sia a tratti quasi insostenibile, è funzionale alla storia: inutile edulcorare la ferocia di Vidal con scene senza sangue o vagamente appannate. Noi ci troviamo sullo stesso piano di Ophelia: dopo tanta efferatezza proviamo sollievo a immergerci nelle visioni della bimba come se bevessimo un sorso di acqua fresca. Anche se sappiamo che la fantasia non è scevra da difficoltà: ma se si deve diventare principesse di un regno in cui si è attese dalla notte dei tempi, il percorso non può certo essere semplice. Del Toro è bravissimo a unire dolcezza e violenza, realtà e sogni, e a scavare nell'animo di una creatura innocente, circondata da un mondo sconvolto
da cui si salverà raggiungendo una immortalità sognata, eterna e dorata.
Pasionaria 07/12/2006 14:29:56 » Rispondi Bel commento, Martina, ero certa ti sarebbe piaciuto, anch'io ho dato 9, senza contare che alcune sequenze mi hanno fatto veramente male. Ma il film è candidato all'oscar come migliore film straniero in concorrenza al nostro Nuovomondo? Bella sfida.....
martina74 11/12/2006 15:22:08 » Rispondi Bella sfida sì (è candidato?)! Devo dire che non piangevo al cinema da un sacco di tempo.. e qui fazzoletti!
Andrea Lade 07/12/2006 11:45:24 » Rispondi Bellissimo commento anche se da quello che dici non capisco
Perchè una donna, rea confessa del rapimento e delitto di un bambino, che passa tredici anni in carcere espiando giorno per giorno la sua colpa e cercando di rendere più lieve la vita delle sue compagne di cella (anche in modi poco ortodossi, in verità), all'uscita cambia completamente atteggiamento e si mette alla ricerca di un uomo che ritiene il vero colpevole della vicenda? Perchè, al contempo, continua a espiare la colpa (vera o presunta? completa o parziale?) compiendo anche azioni di automutilazione? Perchè non ha fin dall'inizio scaricato quella colpa sul vero autore delle efferate violenze, lasciandolo libero e indisturbato a compiere altri crudeli delitti? Dopo un lunghissimo preambolo, scopriamo che la ragione della serena e "illuminata" permanenza di Geum-ja dietro le sbarre è la presenza di una figlia, mai incontrata e "rubata" proprio da quel professore di inglese che è il vero responsabile del crimine di cui la ragazza si accusò, per evitare che l'uomo uccidesse anche la bambina appena nata. L'espiazione di Geum-ja si lega alla concezione del crimine come peccato: lei non ha commesso direttamente l'omicidio di un bambino ma ne è stata complice e, dopo tredici anni e il ritrovamento del professore scopre la sua connivenza inconsapevole (dovuta alla mancata denuncia) di altri rapimenti, di altre morti di bambini innocenti. Geum-ja non può perdonarsi di aver lasciato che le cose andassero in quel modo: il suo è anche un peccato di omissione, potremmo dire omissione di soccorso nei confronti di quei bambini. Ma la nemesi, per una donna e madre, nella sua concezione non può essere compiuta per conto terzi, e allora eccola rintracciare i genitori dei bambini scomparsi ai quali, in un'atmosfera da macelleria meticolosamente preparata con la dotazione di armi da taglio e impermeabili antischizzo, far compiere la loro personale vendetta o, meglio "giustizia". Il colpevole subisce infatti una sorta di processo, ascoltando tutte le considerazioni dei genitori, della vendicatrice e di un investigatore (l'ago della bilancia?) pronto ad assicurarlo alla giustizia ma anche a rendersi complice dell'esecuzione. Geum-ja lava le colpe proprie e del professore col sangue, ma il sangue non è acqua e il colore nefando rimane appiccicato ai teli di plastica, alle armi, alle anime dei coinvolti... e perfino alla torta che la nostra offre a tutti al termine della cerimonia sacrificale. Eppure questo non basta: non basta ai genitori che lasciano il proprio numero di conto corrente per essere risarciti delle somme versate come riscatto, non basta a Geum-ja, perseguitata dal fantasma cresciuto del bambino rapito, che simbolicamente la parifica al suo vero uccisore. Non c'è consolazione nè giustizia, con la vendetta.
Jellybelly 07/12/2006 12:01:34 » Rispondi Oh, beh, sfido io che non l'hai capito: col labirinto del fauno lady vendetta non c'entra nulla...
Andrea Lade 07/12/2006 12:41:55 » Rispondi Ho l'impressione che gellibelli non ha capito niente..
Jellybelly 07/12/2006 12:45:23 » Rispondi Per carità, può essere, ma il tuo spoiler mi sembra si riferisca a lady vendetta; credevo avessi sbagliato ad inserire il commento.
Perchè una donna, rea confessa del rapimento e delitto di un bambino, che passa tredici anni in carcere espiando giorno per giorno la sua colpa e cercando di rendere più lieve la vita delle sue compagne di cella (anche in modi poco ortodossi, in verità), all'uscita cambia completamente atteggiamento e si mette alla ricerca di un uomo che ritiene il vero colpevole della vicenda? Perchè, al contempo, continua a espiare la colpa (vera o presunta? completa o parziale?) compiendo anche azioni di automutilazione? Perchè non ha fin dall'inizio scaricato quella colpa sul vero autore delle efferate violenze, lasciandolo libero e indisturbato a compiere altri crudeli delitti? Dopo un lunghissimo preambolo, scopriamo che la ragione della serena e "illuminata" permanenza di Geum-ja dietro le sbarre è la presenza di una figlia, mai incontrata e "rubata" proprio da quel professore di inglese che è il vero responsabile del crimine di cui la ragazza si accusò, per evitare che l'uomo uccidesse anche la bambina appena nata. L'espiazione di Geum-ja si lega alla concezione del crimine come peccato: lei non ha commesso direttamente l'omicidio di un bambino ma ne è stata complice e, dopo tredici anni e il ritrovamento del professore scopre la sua connivenza inconsapevole (dovuta alla mancata denuncia) di altri rapimenti, di altre morti di bambini innocenti. Geum-ja non può perdonarsi di aver lasciato che le cose andassero in quel modo: il suo è anche un peccato di omissione, potremmo dire omissione di soccorso nei confronti di quei bambini. Ma la nemesi, per una donna e madre, nella sua concezione non può essere compiuta per conto terzi, e allora eccola rintracciare i genitori dei bambini scomparsi ai quali, in un'atmosfera da macelleria meticolosamente preparata con la dotazione di armi da taglio e impermeabili antischizzo, far compiere la loro personale vendetta o, meglio "giustizia". Il colpevole subisce infatti una sorta di processo, ascoltando tutte le considerazioni dei genitori, della vendicatrice e di un investigatore (l'ago della bilancia?) pronto ad assicurarlo alla giustizia ma anche a rendersi complice dell'esecuzione. Geum-ja lava le colpe proprie e del professore col sangue, ma il sangue non è acqua e il colore nefando rimane appiccicato ai teli di plastica, alle armi, alle anime dei coinvolti... e perfino alla torta che la nostra offre a tutti al termine della cerimonia sacrificale. Eppure questo non basta: non basta ai genitori che lasciano il proprio numero di conto corrente per essere risarciti delle somme versate come riscatto, non basta a Geum-ja, perseguitata dal fantasma cresciuto del bambino rapito, che simbolicamente la parifica al suo vero uccisore. Non c'è consolazione nè giustizia, con la vendetta.
cash 07/12/2006 13:08:17 » Rispondi vedo e rilancio:
Iperrealismo in salsa coreana. Spoglio da ogni fronzolo, minimalista nelle inquadrature, asciutto nei dialoghi, Sympathy for mr. Vengeance è un film "tagliato con l'accetta", privo di ammiccamenti e molto meno digeribile dei suoi successori Old boy e Lady Vendetta. Circolare nello svolgimento, affonda senza complimenti nella psicologia dei personaggi, scavando in una realtà di ordinarie miserie e di efferate, sterili violenze. Non c'è salvezza per nessuno, e per nessuno si riesce a provare empatia o pietà: è come se tutto fosse sbagliato, dalla prima all'ultima azione compiuta dai protagonisti. Decisamente un pugno nello stomaco, reso in maniera magistrale.
saxy 07/12/2006 14:10:56 » Rispondi scusate ma di cosa state parlando???? di tutto tranne che de "il labirinto del fauno" rileggete e fatemi sapere!!!!
ridi, e il mondo riderà con te; piangi, e piangerai da solo.
Andrea Lade 07/12/2006 18:45:05 » Rispondi è verissimo,Mercedes infatti ha quel retrogusto coreano che tanto la avvicina alle vendette orientali ...brr da brividi!!
martina74 11/12/2006 15:51:29 » Rispondi Ma vogliamo invece dire che....
Una prigionia lunga quindici anni comminata (apparentemente) per un delitto non commesso abbrutiscono l’“uomo senza qualità” Dae-su e la liberazione, decisa dal suo aguzzino, non è altro che la chiusura “in una prigione più grande”. In un gioco crudele e lucido in cui il carnefice, dalla mente perversa affilata come la lama di un coltello da sushi, recide uno dopo l’altro tutti i centri vitali della sua vittima, assistiamo alla discesa di Dae-su all’inferno dell’ignoto, della paura e del dolore, spaesati quanto lui fino alla catartica rivelazione finale, quando l’algida e perfetta stasi degli ambienti si contrappone alla violenza dell’azione e, infine, ne viene sconvolta. Tragico e bellissimo è il contrasto tra il verde vetroso dell’acqua nella penthouse di Woo-jin e il rosso del sangue di Dae-su. Epilogo solo apparentemente consolatorio, per un film che non dimenticherò facilmente.
cash 11/12/2006 17:32:34 » Rispondi sottoscrivo, solo una piccola aggiunta:
Una prigionia lunga quindici anni comminata (apparentemente) per un delitto non commesso abbrutiscono l’“uomo senza qualità” Dae-su e la liberazione, decisa dal suo aguzzino, non è altro che la chiusura “in una prigione più grande”. In un gioco crudele e lucido in cui il carnefice, dalla mente perversa affilata come la lama di un coltello da sushi, recide uno dopo l’altro tutti i centri vitali della sua vittima, assistiamo alla discesa di Dae-su all’inferno dell’ignoto, della paura e del dolore, spaesati quanto lui fino alla catartica rivelazione finale, quando l’algida e perfetta stasi degli ambienti si contrappone alla violenza dell’azione e, infine, ne viene sconvolta. Tragico e bellissimo è il contrasto tra il verde vetroso dell’acqua nella penthouse di Woo-jin e il rosso del sangue di Dae-su. Epilogo solo apparentemente consolatorio, per un film che non dimenticherò facilmente.
martina74 11/12/2006 17:42:25 » Rispondi ... e io me lo sono pure riletto tutto!
cash 11/12/2006 17:31:31 » Rispondi non si inizia mai un discorso con "se" e "ma". Figuriamoci ad iniziare un discorso con entrambi: "ma se non ci sarei io...."
martina74 11/12/2006 17:40:35 » Rispondi per non parlare del "ma però"....