Cagliostro 10 / 10 04/03/2008 16:07:29 » Rispondi Il personaggio di Sweeney Todd compare per la prima volta in un romanzo a puntate pubblicato in Inghilterra a cavallo fra il 1846 e il 1847. Nel 1973 il personaggio fu quasi integralmente rivisitato e ridisegnato dal commediografo Christopher Bond, che lo trasformò in un eroe romantico e gli fornì un passato tumultuoso dominato da un amore violato, coronato da invidie e da soprusi e sfociato in una ingiusta detenzione da scontare nell’inglese Australia dei reietti (con alcuni riferimenti più o meno impliciti al dualismo dei personaggi di Frollo e di Esmeralda di “Notredame de Paris” di Hugo). Il lavoro di Bond fu trasformato in un musical nel 1979 da Stephen Sondheim e da Hugh Wheeler riscotendo un successo enorme a Broadway. È a quest’ultima opera che si ispira la pellicola diretta da Tim Burton. La sceneggiatura di John Logan, già coautore di pellicole come “Ogni Maledetta Domenica” e “Il Gladiatore” ed autore de “L’Ultimo Samurai” e di “The Aviator”, è solida, carica delle tematiche più care a Burton, semplice e funzionale. Avvalendosi dell’abilità di questo sceneggiatore e grazie anche alle magnifiche scenografie dell’eccelso Dante Ferretti (un premio oscar indubbiamente meritatissimo) e dell’eccellente fotografia di Dariusz Wolski (già direttore della fotografia di pellicole in bilico fra il gotico ed il barocco quali “Il Corvo”, “Dark City” e tutta la serie dei “Pirati dei Caraibi”), Tim Burton realizza una delle sue opere più ambiziose e più complete, regalando al pubblico un film perfetto sotto ogni profilo. Le atmosfere cupe, forse più barocche che gotiche, sono amplificate da un gioco di trasparenze torbide (si pensi alle numerose inquadrature che sfruttano i riflessi o le trasparenze dei vetri) e sono arricchite da un alternarsi di colori dirompenti fra cui domina incontrastato il rosso surreale del sangue che scorre a fiumi senza però mai impressionare o turbare. Un tripudio grandguignolesco che non ha nessun contenuto orrifico, ma che si dimostra semplicemente liberatorio proprio come un’eruzione che per troppo tempo è stata contenuta e che riesce a trovare il proprio sfogo, atteso così a lungo. “Sweeney Todd” è un film sontuoso, elegante e raffinato, tecnicamente ed artisticamente inattaccabile. È una gioia per gli occhi ed un trionfo di bellezza, data dalla perfetta costruzione di ogni singola scena. Il personaggio di Todd è completamente ridisegnato secondo le ossessioni più care al regista. Le tematiche che Burton affronta sono innumerevoli, alcune di immediata e diretta comprensione, altre più celate, latenti, striscianti. La vendetta si rivela poco più che un pretesto. Il sentimento dominante di tutta la pellicola è un’acuta misantropia. La genialità, che troppo a lungo è stata intrappolata dalla mediocrità collettiva, si ribella. La carneficina diviene un’autocelebrazione artistica, la trasformazione di una materia prima grezza e scadente in qualcosa di migliore che però può ingannare soltanto quella stessa collettività da cui proviene e che finisce col fagocitare se stessa. Un processo creativo che agisce attraverso la distruzione. La bellezza che nasce dalla turpitudine. La stupidità e la stoltezza, coronate da un’estrema superficialità, aprono le porte all’invidia della mediocrità.
Si pensi al fatto che Todd vorrebbe vendicarsi del male che gli è stato fatto e soprattutto vorrebbe vendicare lo stupro e la morte della moglie, ma quando lei è lì, davanti a lui, non la riconosce e le taglia la gola. Questo perché? Perché aveva perduto la sola caratteristica che la distingueva da tutti gli altri: la bellezza. Quando Todd ricorda la moglie, non parla mai di nessun’altra sua qualità, lei era soltanto bella.
L’individualità si contrappone alla stolta piattezza di tutto ciò che è collettivo. L’autorità è un male autarchico che cerca di schiacciare questa individualità, cerca di reprimerla confinandola in carcere o in manicomio, si nutre della sua bellezza e quando non ne necessità più la distrugge. Sono fortemente simboliche in tal senso la scena dello stupro durante il ballo in maschera e la sua diretta antagonista, la scena in cui Todd sogna di aggirarsi armato del proprio rasoio in mezzo ad una folla monocroma e monocorde. Il giusto preludio di quel che seguirà.
Todd ha riscoperto la propria individualità; ritorna ad essere individuo fuori dal branco. Si ribella all’autorità poiché questa è manifestazione ed espressione della mediocrità di tutta quella collettività che si nutre delle bellezze e delle ricchezze dell’individuo, inteso come opera d’arte singolare e irripetibile.
Grazie all’ausilio ed all’intervento della crudele (ma non più di tanto) strega cattiva, egli condanna la collettività a cibarsi di se stessa e annienta il potere dell’autorità riportandola a quello che è il destino comune di tutti gli esseri viventi: la morte. Una morte che ha spesso un valore salvifico e che è sempre liberatoria. Non si tratta di semplice vendetta, quando Todd taglia finalmente la gola al giudice Turpin. È il rovesciamento dei ruoli; è l’annichilimento della superiorità dell’autorità. È piacere che si perde nel piacere. È la libertà che si libera dell’oppressione. È la risocpertà di se stessi e della propria libertà. Quando poi Todd si rende conto di essere stato nuovamente ingannato, questa volta da Mrs. Lovett, e di essersi fatto rubare, sempre a causa della propria superficialità e della propria stupidità, la vita idilliaca sognata e solo brevemente vissuta nel suo remoto passato, s’ingenera in lui un’esplosione di rabbia, non di vendetta, anch’essa distruttiva e liberatoria. E così la perfida (ma è davvero così perfida?) strega cattiva, che ha agito per egoismo e/o per amore (come se poi ci fosse un’incolmabile differenza), precipita nel più classico destino delle streghe malvagie: essere bruciata viva. Ancora una volta la morte e l’assassinio sono una liberazione, ma, in questo caso specifico, dalle proprie responsabilità.
L’analisi del personaggio di Todd, così come l’analisi di tutte le tematiche affrontate nel film, sarebbe assai lunga e complessa, non certo adatta a questa sede. Resta ineludibile il fatto che Burton ha confezionato uno splendido capolavoro, visivamente seducente, di grande impatto e di grande forza. Forse il suo film migliore. E può darsi che col tempo e dopo un’ulteriore visione, anche i detrattori più accaniti di “Sweeney Todd” potranno riuscire ad apprezzarlo se non anche ad amarlo.
Harpo 04/03/2008 18:22:51 » Rispondi complimenti Carlo, un commento indubbiamente superiore alla mia recensione.
Cagliostro 05/03/2008 11:04:21 » Rispondi Mille grazie. Ma non fare confronti con la tua bella recensione... il bello di scrivere un commento e non una recensione è che si può dare un giudizio più estremo, più personale e assolutamente di parte... come questo ;-)
onda 04/03/2008 18:43:46 » Rispondi Un'analisi molto stimolante delle tematiche. Però non sono del tutto d'accordo sulla solidità della sceneggiatura che, a mio modo di vedere, ha qualche buco.
Satyr 04/03/2008 20:12:15 » Rispondi Ehi Carlo e'un po'che non ti si legge:ovviamente come al solito grandissimo commento,Clap-Clap-Clap....
Cagliostro 05/03/2008 11:01:37 » Rispondi Grazie, caro. E' da un po' che sono sempre in giro per un motivo o per un altro, quindi niente internet o, nella migliore delle ipotesi, appena il tempo di dare un'occhiata. Era anche da un bel po' che non andavo al cinema, ma in questi ultimi giorni mi sono rifatto (di coca [...cola], s'intende) e mi sto sparando un film al giorno :-)