shish 7 / 10 12/10/2008 15:30:10 » Rispondi Tra i migliori interpreti di Stephen King nell'ambito cinematografico, sicuramente spicca il nome del franco-americano Frank Darabont. Tra le sue più prestigiose pellicole, Il miglio verde e Le ali della libertà sono le più ammirate. Quest'ultimo adattamento su pellicola, “The Mist”, è quanto di più angoscioso e disorientavo che il blasonato regista ha saputo fare. Risvegliarsi dallo stato di shock dopo aver visto interamente un tale film profondamente psicologico e commentarlo è ritenuta una quasi impresa. Partendo dal fatto che in un film bisogna giudicare i due tronchi che lo strutturano, ovvero la parte tecnica, costruita dai vari campi scenici e la parte didascalica, dove ricavare infine una morale, boccerei senza riguardi il primo dei canoni, in quanto incapace di dare il proprio contributo artistico (scenografia che presenta delle lacune, attori terrorizzati nel far emergere il proprio potenziale recitativo, creazione in computer grafica delle creature mediocre, colonna sonora inesistente, salvo che negli ultimi minuti di visione) e presterei particolarmente attenzione nel messaggio e nella visione del regista, includendo in pari modo l’influenza dello scrittore più rinomato del terrore, King: cosa succederebbe se un fenomeno sovrannaturale si percuotesse sulla Terra? Inizialmente si concretizzerebbe che ogni singola persona penserebbe a salvare la propria pelle senza badare più al prossimo. Se si volesse incrementare il sovraccarico di tensione, basterebbe incapsulare un qualsiasi gruppo si esseri umani, in un luogo delimitato, per esempio un supermercato come in questa situazione. Da qui incomincerebbero a germogliare i più oscuri e nascosti segreti di ogni persona, tenuti repressi per un intera vita. Questa di quella branchia che lo stato emotivo del film, è il ramo psicologico, che si sviluppa prevalentemente per una buona parte su tutta la durata di “The Mist”. Un secondo ramo germinato è quello religioso, o meglio quello sulla fede, affrontato in una maniera errata, presentando allo spettatore dei modelli inesatti: la predicatrice biblica (una sfavillante Marcia Gay Harden) che persuade attraverso un’interpretazione religiosa del tutto erronea, ma invita i terrorizzati ad avere fede in un dio vendicativo e apocalittico, e plagia i suoi ipnotizzati seguaci ad attendere la fine dei giorni. Contrariamente in visione opposta il protagonista David Drayton (un non convincente Thomas Jane) ha una fiducia terrena basata nelle proprie facoltà e azioni, tanto da coinvolgere un gruppo disposto a seguirlo, decidendo di affrontare i misteri che la nebbia cela, fuggendo dal supermercato, da un posto completamente annebbiato dal terrore e rafforzato dalla forza interna che questa “nuova setta religiosa” è venuta a crearsi. Ciò che fa accendere i dibattiti sulla misticità e dogmaticità del film è sicuramente un finale shockante e inaspettato. Alimentando il fervore sulla domanda: basta avere una qualsiasi fede o speranza per sopravvivere? La risposta nelle vicissitudini del film. Questa a mio parere è del tutto errata, maldisposta e non del tutto chiara, lasciando a chi gusta con gli occhi questa visione un amaro in bocca, uno stato d’animo straziato e spento. Una sensazione inaspettata che aiuta a far riflettere, ma soffoca le fiamme vivide di una pellicola che sembrava ardere propriamente, facendo aleggiare ancora una fitta nebbia che non svanirà. Una trama con dei buchi che potrebbero essere tralasciati poiché si vuole evidenziare i caratteri psico-religiosi di ogni persona, ma risulta pur sempre un film poco convincente, e poco completo. Le sue proprietà da una discreto Horror sembra averle, dosando una giusta quantità di macabro per non cadere troppo nell’esagerazione, alternando punti di tensione ed orrore con parti piatte e dialogate. Una pellicola che mantiene la firma di uno dei più acclamati registi allontanandosi in maniera vertiginosa da ciò che siamo abituati a vedere. Pur mantenendo l’originalità dei suoi lavori, lo sceneggiatore e regista de“Le ali della libertà” e “Il miglio verde” ha saputo creare questi capolavori plurinominati all’oscar, ma questa volta non si addentra più di quanto dovrebbe nella densa nebbia di “The Mist”. Resta comunque una pellicola da vedere e da discutere…