caratteri piccoli caratteri medi caratteri grandi Chiudi finestra

MISS VIOLENCE regia di Alexandros Avranas

Nascondi tutte le risposte
Visualizza tutte le risposte
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67     9 / 10  15/11/2013 16:29:14 » Rispondi
Sembrerebbe che il cinema europeo stia firmando un atto di ribellione dietro l'altro al linguaggio cinematografico statunitense mainstream e a quello televisivo, di cui è figlio legittimo. Così assistiamo al moltiplicarsi di regie costruite principalmente su ritmi lenti o lentissimi, da sala cinematografica, quadri fissi, inaspettate o variabili profondità di campo, tagli inconsueti dell'immagine e rari (ma perfetti) movimenti di camera; all'interno di quel quadro nessun dettaglio è lasciato al caso mentre agli attori è richiesta una superlativa capacità mimico-gestual-prosemica da rappresentazione teatrale. Il suono, tornato a essere molto curato sfruttando appieno le capacità dell'ormai standard Dolby 5.0 o addirittura 7.0, spesso descrive tutto quel che viene accuratamente e programmaticamente lasciato fuori campo. Maestro indiscusso di questo tipo di mise-en-scène è senza ombra di dubbio Mikael Haneke, che col suo stile ha prodotto una serie di pellicole provocatorie e altamente disturbanti. Accanto a lui possiamo annoverare Jessica Hausner di "Lourdes", Götz Spielmann di "Revenge", Gianfranco Rosi di "Sacro GRA", Alain Guiraudie de "Lo sconosciuto del lago", persino il Polanski di "Carnage" o l'incredibile, lunghissimo finale di "Via Castellana Bandiera".

Alexandros Avranas, classe 1977, secondo lungometraggio, mutua molte di queste caratteristiche da Haneke (meritatissimo il Leone d'Argento per la regia) ottenendo prove attoriali da brivido (meritatissima anche la Coppa Volpi a Temis Panou, ma che dire delle altrettanto straordinarie Rena Pittaki e Eleni Roussinou?), una fotografia algida e perfetta con almeno due movimenti di camera da pugno allo stomaco (lo straordinario piano-sequenza iniziale del suicidio e la carrellata circolare dell'umiliazione di Philippos, un plauso a Olympia Mytilinaiou), una regia maniacale, vicina alla perfezione (nessun dettaglio scenografico lasciato al caso, movimenti di scena ineccepibili, ragazzini diretti in maniera straordinaria, ma che dire dell'intensissima sequenza della scoperta del delitto sostenuta per intero da una Eleni Roussinou ferma sulla soglia della camera da letto?).

Tuttavia le differenze tra Haneke e Avranas si notano in almeno due dettagli: 1) Laddove Haneke lascia agire la violenza fuori campo ricorrendo spesso all'evocatività del suono, Avranas alterna troncature di netto delle sequenze al parossismo dell'orrore mostrato con una freddezza che ricorda il distacco del MacNaughton di "Harry pioggia di sangue" o la terribile sequenza del suicidio in "Caché" dello stesso Haneke. Con un pizzico di compiacimento in più: il terribile sorriso determinato che ci rivolge Angeliki prima di buttarsi si stampa in mente senza più lasciarci, così come quello di Eleni alla scoperta del cadavere. 2) Il suono accompagna sempre l'immagine, anche nella sua effettistica (mirabile il piano-sequenza dell'interrogatorio degli ispettori dove il suono segue letteralmente la cinepresa nel suo spaziare da un soggetto all'altro).

Dopo averci assestato il primo pugno allo stomaco iniziale, Avranas è bravissimo a creare una mefitica atmosfera di tensione, tutta costruita sull'incongruenza della normalità, della banalità e della ripetitività di gesti ed espressioni che cozzano sempre più con la realtà di rigidità e poi, man mano, di sopraffazione e violenza che grondano dalle espressioni sofferenti delle protagoniste e del bambino. Noi spettatori sappiamo che in quell'amorevolezza ostentata del protagonista c'è qualcosa che non torna, senza contare lo spiazzamento che viviamo nel venire a sapere che Eleni è la figlia di questo nonno-padre veteropatriarcale e violento.

A tre quarti del film, poi, siamo catapultati senza troppi complimenti nella violenza fin lì nascosta o trattenuta in un crescendo di nefandezze e orrori difficilmente sostenibili (la sequenza dello stupro in serie è veramente disturbante) che ci fanno definitivamente capire come il suicidio di Angeliki sia stato in realtà un gesto straordinariamente liberatorio e di autentica ribellione allo statu quo. Forse l'unico possibile, perché la liberazione dall'orco non è detto che segni per quella famiglia un riscatto. Anzi, la cinepresa che resta fuori dal portone di casa fatto chiudere a chiave dalla nonna, ormai matriarca della famiglia, lascia presagire il peggio (io ho immaginato uno sterminio, per esempio).

Formidabile atto d'accusa contro l'ipocrisia patriarcale della "sacralità" e "intangibilità" della famiglia-modello-unico-eterosessista-e-maschilista, il film non risparmia critiche anche alla complicità femminile nel tramandare questo modello e nel coprirne le nefandezze che può produrre partecipandovi anche attivamente.

Ma accanto a questa lettura immediata, il film si presta anche a una metafora riferita tanto alla realtà greca dei nostri giorni, quanto all'Italia della crisi: quel che denuncia Avranas con potenza è il degrado morale -ancor prima che materiale- indotto dalla crisi stessa. E se proprio vogliamo andare a scavare, non è difficile scorgerci un intento satirico: basta sostituire al personaggio del nonno-padre-padrone (che resta significativamente senza nome) la figura di Giorgos Samaras, a quella degli assistenti sociali la Troika europea (l'assistente sociale donna non ha un aspetto teutonico?) e al resto della famiglia la popolazione greca, in particolare quella borghese in "contatto" col Potere, e il gioco è fatto. Quel che più fa male è notare quanta vicinanza ci sia con la realtà sociale e politica italiana, non a caso sentiamo risuonare pure le note di Toto Cutugno nella casa di uno dei personaggi più abietti del film.
oh dae-soo  29/11/2013 20:14:42 » Rispondi
Analisi strepitosa Luke.

E mi piace da morire che anche te abbia visto nel suicidio iniziale un gesto, paradossalmente, di vita e d'azione.

Ancora complimenti.
Invia una mail all'autore del commento kowalsky  22/11/2013 21:07:40 » Rispondi
Accidenti che analisi... chapeau. A quando una cena a lume di candela?
Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  28/11/2013 11:04:04 » Rispondi
Caro Luca, tu sai che insieme all'altro nostro omonimo toscano dobbiamo fare un... cinema-dinner! E poi devo coronare il sogno di passare le mie ferie alla Mostra del Cinema di Venezia facendo adeguata e smodata indigestione di film!!