Recensione gomorra regia di Matteo Garrone Italia 2008
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Recensione gomorra (2008)

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Voto Recensore:   9,00 / 10  9,00
Miglior filmMigliore regiaMigliore sceneggiaturaMigliore produttoreMiglior montaggioMiglior sonoroMiglior canzone (Herculaneum)
VINCITORE DI 7 PREMI DAVID DI DONATELLO:
Miglior film, Migliore regia, Migliore sceneggiatura, Migliore produttore, Miglior montaggio, Miglior sonoro, Miglior canzone (Herculaneum)
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locandina del film GOMORRA

Immagine tratta dal film GOMORRA

Immagine tratta dal film GOMORRA

Immagine tratta dal film GOMORRA

Immagine tratta dal film GOMORRA

Immagine tratta dal film GOMORRA
 

E' comunemente attribuita all'intellettuale Vincenzo Cuoco una considerazione sul nascente Regno di Napoli secondo la quale "[...]sbaglia chi considera come la nazione napoletana, in realtà sono due: distinte tra loro due secoli e due gradi di clima... la prima non vede la seconda perché ha lo sguardo rivolto a Londra o Parigi [...]"
Cosa resta oggi della "nazione napoletana" descritta da un lungimirante Cuoco? Soffocata da cumuli di immondizia in fiamme, avvelenata fin nel ventre della sua terra, assoggettata ad una modernità che le ha corrotto l'animo, la Napoli di oggi sembra avere conosciuto solo gli effetti negativi della modernità, del benessere e della democrazia.
Eppure immutabile nelle sue contraddizioni, la Napoli di questi anni sta mostrando un volto inedito, la cui spietatezza e crudeltà non risulta più essere inquadrabile in una semplice analisi storica- sociologica.

Come Cuoco a suo tempo accusò una parte di Napoli di non avere il coraggio di guardare in faccia i suoi mali, oggi Saviano con il suo romanzo-verità "Gomorra" si rivolge all'Italia, troppo presa dalle sue magagne politiche, da non rendersi conto della deriva economica e sociale di parte del suo territorio.
Venduto in più di un milione di copie e tradotto in 33 lingue, "Gomorra" è stato il fenomeno editoriale degli ultimi anni, un libro scritto in perfetto equilibrio tra romanzo e reportage giornalistico.
Il merito di Saviano è quello di presentarci una camorra inedita, più vicino al mondo della finanza e dell'imprenditoria; un'evoluzione del fenomeno malavitoso, sempre più pericoloso e soprattutto non più confinato alle regioni meridionali.

Nel 2006 Domenico Procacci acquista i diritti cinematografici del libro, affidandone la trasposizione al giovane e affermato regista Matteo Garrone. La trasposizione cinematografica di un romanzo non è mai un'operazione priva di rischi, ma nel caso di "Gomorra", per la sua particolare struttura, è evidente che il lavoro sia stato particolarmente insidioso; non a caso, quindi, si è resa necessaria la creazione di un vero e proprio team di lavoro composto da navigati sceneggiatori, quali Maurizio Braucci, Ugo Chiti, Gianni Di Gregorio, Massimo Gaudioso e dallo stesso Saviano.
La necessità di muoversi sul racconto di cronaca senza assumere eccessivamente lo stampo documentaristico ha previsto una completa scomposizione del romanzo: le storie dei personaggi che nel Gomorra di Saviano erano semplici punti di partenza da cui far partire coraggiose denuncie, nel film diventano gli unici veri protagonisti.
Il "Gomorra" di Garrone non vuole sovrapporsi al romanzo da cui è tratto; la sua attenzione non si pone tanto sul funzionamento del "sistema" malavitoso campano, piuttosto, sulla deriva umana e sociale possibile anche in un Paese del cosiddetto "primo mondo" come l'Italia.

Articolato in cinque episodi raccontati parallelamente, il film si apre con la storia di Totò, ripresa tra le immense e degradanti Vele di Scampia. Garrone ci mostra come sia facile entrare a far parte del "sistema"e di quanto fascino possa esercitare su preadolescente fino a far compiere le peggiori azioni.
La storia di Totò si incrocia con quella di Ciro, cassiere del "sistema di Secondigliano", uomo comune che in apparenza sembra svolgere un lavoro come un altro. Sia Totò che Ciro si troveranno coinvolti in una guerra interna al clan, in cui un gruppo di indipendentisti, detti anche Scissionisti o Spagnoli, tenta di usurpare al boss Paolo di Lauro il monopolio del traffico di droga.
Lo scontro che fra il 2005 e 2006 avvenne a Napoli fu una guerra in piena regola, sottratta a qualsiasi giurisdizione, ed arrivò a provocare centinaia di morti.
Di tutt'altro genere è il racconto di Pasquale, sarto di alta qualità, impiegato sottopagato nella produzione di capi per le grandi griffe, che verrà coinvolto in un gioco più grande di lui.
La quarta storia si incentra su un immenso Toni Servillo, cinico imprenditore del traffico di rifiuti tossici, ed è forse la storia più attuale ed anche più rappresentativa. In questa parte del film Garrone riesce a rappresentare in modo emblematico l'istinto autodistruttivo di un popolo, indugiando in modo quasi morboso nella rappresentazione di un vecchio moribondo avvelenato dalla sua stessa terra, che ancora contratta "affari" con i boss per fare dei suoi appezzamenti discariche.
Infine, la storia più defilata del libro diventa prevedibilmente centrale nel film, quella di Ciro e Marco, due ragazzini cresciuti sui "gangster movie" americani, fanatici della mitologia dei boss che imparano presto a conoscere il vero volto della camorra.

Probabilmente l'elemento di forza del film, più che nelle storie raccontate, sta nell'accurata regia di Matteo Garrone, che riesce a fare di "Gomorra" un'opera immensa.
La minuziosa cura dei particolari è evidente a partire dall'uso del dialetto napoletano, degli intercalare tipici dei giovani di periferia ed addirittura nelle sfumature di pronuncia che cambiano a seconda se le storie siano ambientate nel casertano o nel napoletano.
La decisione di non affidarsi ad attori professionisti ad eccezione di Toni Servillo (ma merita una menzione particolare anche la bravissima Maria Nazionale) rende al film un effetto di realismo tale da lasciare increduli che quella che ci si trova davanti sia solo fiction.
Garrone segue i suoi personaggi in lunghi primi piani e sfondi sfuocati; la sua attenzione è data alla sensazioni, non ha bisogno di mostrare la violenza, di ricorrere ad escamotage, la realtà è già troppo straziante da non ritenere necessario che il regista "infierisca".
Di conseguenza anche la colonna sonora è defilata ma incisiva: la musica è quella delle radio dei boss, dei cantanti neomelodici e dei Gigi D'Alessio; niente deve distrarre lo spettatore dalla visione di quella cruda realtà.
La fotografia rende in pieno il fascino delle Vele e gli immensi spazi vuoti del paesaggio lunare di Castelvolturno, già tanto amati da Garrone ne "L'imbalsamatore", sono resi in pieno nel loro squallore e degrado da inquadrature a campo lungo.

"Gomorra" smonta l'intramontabile mitologia dei boss; non a caso i vari Di Lauro o Sandokan fanno solo da sfondo e non vengono nemmeno presentati al pubblico, proprio per sottolineare l'insignificanza di certi personaggi che prima o dopo finiranno anch'essi nel "tritacarne" camorristico, pronto a presentarne dei nuovi.
Il cinema italiano finalmente racconta la mafia solo come lui può fare, senza scimmiottare gli americani, come fece a suo tempo Tornatore con il comunque bellissimo "Il camorrista", e senza cercare la facile lacrima incentrando film sugli eroi di turno che alla fine lasciano il tempo che trovano; per la prima volta sullo schermo la mafia vista dal suo interno senza rinunciare ad un indagine morale e umana.
Inoltre l'interesse di Garrone non è tanto sui fatti raccontati del libro ma, come già detto, dalle storie dei suoi protagonisti; così facendo Garrone inaugura un nuovo neorealismo, limitandosi a fare una foto di una realtà, senza inutili didascalismi.
Questo aspetto può essere visto come limite o risorsa; certamente la visione di "Gomorra" non può essere alternativa alla lettura del libro, la cui conoscenza è necessaria per comprendere in pieno il funzionamento del sistema e il ruolo dei singoli protagonisti.
La scelta di non fare del romanzo di Saviano un documentario ha infatti inevitabilmente fatto perdere al film la forza contenutistica del libro; è anche vero però che se si fosse fatta questa scelta probabilmente il riscontro del pubblico non sarebbe stato il medesimo.
Accusato di essere eccessivo e senza speranza, Garrone non regala false illusioni ma non per questo il suo messaggio può essere considerato disfattista; "Gomorra" va preso semplicemente come una foto della realtà: non si danno giudizi morali né tantomeno si traggono conclusioni.

Candidato al Festival di Cannes, "Gomorra" ha già saputo farsi apprezzare fino ad aggiudicarsi il premio "Grand Prix", un riconoscimento importante che, se sommato al premio della giuria vinto da "Il Divo" di Sorrentino, crea finalmente un giustificato ottimismo per il futuro del cinema italiano.

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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 29/05/2008

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