Recensione immortal (ad vitam) regia di Enki Bilal Francia, Italia, Gran Bretagna 2004
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Recensione immortal (ad vitam) (2004)

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locandina del film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)

Immagine tratta dal film IMMORTAL (AD VITAM)
 

Se il fumetto alla francese incontra la computer grafica (succede un mezzo pasticcio)

Prendete un ambientazione alla Blade Runner, inserite in quel mondo luci, colori ed elementi di Stargate, immaginate personaggi alla Stalker e un'eroina alla Quinto Elemento, sognate una società controllata in modo poco chiaro dalla scienza medica come nell'universo di Gattaca e visualizzate tutto con una computer grafica alla Final Fantasy. Shakerate il tutto e avrete, grossomodo, Immortal (ad vitam), ultimo film dell'estroverso Enki Bilal.
Completamente ambientato nell'universo creato e disegnato nei fumetti dello stesso Bilal, Immortal è un'operazione stranissima, che coinvolge computer grafica, disegno animato, ma anche attori in carne ed ossa.

Ci troviamo nella New York del 2095, durante la campagna elettorale che coinvolge il senatore Allgood, rampollo di una delle piu potenti famiglie della city. Proprio in questo frangente, per un guasto della prigione federale, ritorna in liberta Nikopol, presentato all'opinione pubblica come pericoloso sovversivo, in realtà teorizzatore sognante di un mondo migliore e fondatore, prima di essere condannato, trent'anni prima, alla criocongelazione, di un movimento di liberazione che lotta contro la Eugenics, società medica al servizio di Allgood, la quale detiene il potere reale sulla grande mela.
Fortunatamente (o per disgrazia, dipende dai punti di vista) Nikopol è l'unico umano in grado di ospitare il dio Horus, scacciato dall'olimpo degli dei, e in cerca di una particolare fanciulla in grado di ospitare il suo seme: Jill.
Ed è proprio sulle assi di questo triangolo, Jill-Nikopol-Horus, che si giostra il film, tralasciando nella breve sinossi qui proposta, zone d'intrusione, John l'insidiatore, l'ispettore Froebe e la dottoressa Elma Turner (Charlotte Rampling), elementi che si aggiungono all'insieme rendendo ancora piu ricco e vasto il mondo in cui ci si imbatte.
Ma quest'eccessiva complessità finisce per penalizzare la fruibilità del film, costruito su misura per gli appassionati del mondo fantasmagorico del Bilal fumettista, ma che poco lascia ai semplici fruitori dell'opera cinematografica.
Troppe le storie che si intrecciano; di nessuna si conosce l'origine, di molte non si riesce a comprendere se e quale sia la fine.

Verrebbe da citare il celebre passo de "La storia infinita", in cui una voice-off ci informava che "questa è un'altra storia, e la racconteremo un'altra volta". Ecco. Si ha l'impressione che il film sia costruito interamente su "altre storie", che ci sia sempre qualcosa d'incompiuto, di sfuggente, che contorni, colori, sensazioni che vorrebbero essere nette e decise siano in realtà abbozzate, distorte.
Ci si potrebbe interrogare sulla reale valenza, sullo scopo di un'operazione del genere. Indubbiamente la traccia principe è il tentativo di riprodurre visivamente l'immaginifico mondo del famoso fumettista d'adozione parigina. Ed è un'operazione interessantissima, un unicum nel panorama di progettazione cinematografica europeo. Si rimane affascinati dal contesto, dalla cornice ambientale del tutto. La computer grafica accompagna i modellini usati per la realizzazione delle scenografie rendendo perfettamente quell'immagine sporca, tendente all'entropia di una citta futuribile.
Il tutto, bisogna ammetterlo, girato con una notevole perizia, con un tentativo a lunghi tratti riuscito, di coniugare armonicamente attori in carne ed ossa (Laura Hardy, Thomas Kretscmann, Charlotte Rampling) con il mondo digitale e i personaggi che lo animano. Personaggi che rivestono ruoli anche importanti, la cui fisionomia, fisica e psicologica, viene ben tratteggiata nel felice connubio script-realizzazione grafica, pur trovando qua'e la' situazioni grottesche e un po' paradossali, al limite del kitch.
La scelta di trucchi e costumi accompagna bene il contesto generale, contesto che rimane comunque farraginoso e pesante per i profani del mondo di Bilal (sperando vivamente che risulti il contrario ai suoi assidui frequentatori).
Ma si ha la sensazione che l'impatto visivo, carico di una mistica particolare, che tanto affascina il pubblico contemporaneo, sia l'unico perseguito nella realizzazione dell'opera. Tutto il resto è lasciato un po' al caso, un po' alla buona volontà interpretativa del pubblico, un po' al tentativo monopolizzante dell'immagine come unico veicolo d'interesse filmico.

Voto: 6

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Recensione a cura di Pietro Salvatori - aggiornata al 23/11/2004

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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