Recensione invito a cena con delitto regia di Robert Moore USA 1976
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Recensione invito a cena con delitto (1976)

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locandina del film INVITO A CENA CON DELITTO

Immagine tratta dal film INVITO A CENA CON DELITTO

Immagine tratta dal film INVITO A CENA CON DELITTO

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Immagine tratta dal film INVITO A CENA CON DELITTO

Immagine tratta dal film INVITO A CENA CON DELITTO
 

"...Ben Signora. Si, signora. James, signore..."
"...Conoscele storiella di funghi plimaticci?..."
Sono battute ormai entrate nella storia della parodia cinematografica, ascoltarle ed associarle ad un successo annunciato come "Invito a cena con delitto" è un momento. Dopo la sua uscita nel 1976, infatti, era sufficiente cogliere anche solo una frase citata dal film per riconoscerlo immediatamente e ridere di gusto.

Questa fortuna capita solo alle opere cinematografiche destinate ad ergersi a veri e propri cult movie. Difficile, però, oggi dire se la fama della parodia di Robert Moore, tratta da una piece teatrale di Neil Simon, abbia avuto col tempo la stessa sorte del più conosciuto "Frankestein Junior", uscito due anni prima.
Probabilmente il film di Mel Brooks vince in popolarità e fama rispetto a quello scritto dal grande commediografo brodwayiano, nonostante l'originale "Murder by death" rappresenti per molti una perla di raffinato umorismo sempre piacevole da rivedere, e per gli afecionados un vero e proprio film- feticcio.

Essendo una parodia del genere giallo, lo script può anche apparire demenziale, se non fosse che il sottile humor di Neal Simon lo infarcisce di raffinata e intelligente comicità già dall'ambientazione: una tetra villa di campagna, dove i quadri osservano le persone muovendo gli occhi, il campanello è un urlo di donna e il temporale a comando la rende perfetto proscenio per un omicidio.
Neil Simon attinge a piene mani dall'Agata Christie di "Dieci piccoli indiani" per sviluppare gli iperbolici intrecci all'interno del sinistro maniero, in cui l' eccentrico proprietario convoca i cinque investigatori più capaci della terra per risolvere, sotto ricco compenso, un delitto non ancora commesso.
Le premesse per una satira spassosa ci sono tutte e di certo non vengono deluse.

La forza comica della storia sta tutta nella deliziosa parodia degli investigatori più popolari della letteratura gialla: Hercules Poirot, Sam Spade, Charles Chan, Miss Marple e Nick Charles. Ognuno di loro è umoristicamente caratterizzato nei propri stereotipi dalle corrispondenti caricature: Milo Perrier, Sam Diamante,Sidney Wang, Jessica Marbles e Dick Charleston. Ciascuno di loro arriva al castello accompagnato da una persona: escamotage brillantemente concepito dallo sceneggiatore al fine di attribuire una spalla per le fulminanti battute dei protagonisti.
E così i duetti comici fra il cinese Wang e il figlio giapponese, tra Sam Diamante e l'amante segretaria, per citare i più esilaranti, come anche le battute, che il gruppo dei dieci al completo si rilancia a vicenda con un sincronismo ineccepibile nella sala da pranzo, non tradiscono nè la vena comica di Neil Simon, né la sua impronta teatrale più che cinematografica.

"Invito a cena con delitto" è un gigantesco "Cluedo" che racchiude in sé tutti i gialli che abbiamo letto. E come da tradizione non mancano il maggiordomo e la cuoca, sennonchè l'uno è cieco, l'altra sordomuta e la loro impossibilità a comunicare offre alcune delle gag più divertenti. Da sola poi, la sequenza della cuoca muta che urla dopo avere trovato un cadavere, vale l'intero film.

Bisogna riconoscere che la prima parte, in cui uno ad uno entrano in scena i personaggi (come a teatro) è la migliore, ricca di trovate argute e divertenti. Alcune di esse sfuggono ad una prima visione, per questo il film sarebbe da gustare più volte per goderne in pieno. L'incipit si riallaccia strutturalmente anche alla fortunata piece teatrale "Trappola per topi" sempre della Christie, rappresentazione in bilico fra commedia e dramma, cui bonariamente si irride.
Nella seconda parte del film, al contrario, la sceneggiatura avverte momenti di stanchezza e il ritmo si perde nel labirinto dell'intreccio senza, tuttavia, abbandonare mai la logica coerenza canzonatoria. In effetti c'è una logica alla base dell'amabile presa in giro del genere giallo, verso i cui estimatori, il finale parossistico diventa un vero e proprio atto di giustizia. Lo sfogo di Twain contro gli improbabili colpi di scena e gli arzigogolati intrecci delle detective stories, ci libera dalla frustrazione di letture che tanto ci hanno angustiato.

Ma l'operazione più riuscita del film riguarda il suo cast. Mettere insieme un gruppo di straordinari attori non è impresa facile, e qui si è puntato in alto.
A parte Orson Welles e Myrna Loy, che rinunciarono ognuno per motivi diversi: Welles perché aveva impegni teatrali in Italia; la Loy perché non voleva fare la caricatura di se stessa ( sostituita da Maggie Smith, oggi famosa professoressa potteriana); tutti gli altri accettarono con entusiasmo subodorando il felice esito del lavoro da una parte, convinti di divertirsi un mondo dall'altra. E così fu.

Alec Guinness, in particolare, nella parte del maggiordomo cieco, diede il meglio di sé lavorando alacremente al film mentre,durante le pause,studiava lo script di Star Wars. Peter Falk ,alias Sam Diamond, è straordinario nella copia paradossale di un Bogart d'annata. Il suo cinico e brutale pragmatismo americano si scontra con la raffinata flemma britannica di uno strepitoso David Niven ( Dick Charleston) durante dialoghi in cui intelligenza ed umorismo si compenetrano in un gioco ironico davvero irresistibile.
E infine lui, Peter Sellers, che nei panni di Wang, ci diverte con le sue stucchevoli massime orientali( quella della "vacca sul muro" è ormai un must) enfatizzate da deliziosi storpiamenti grammaticali. Ciliegina sulla torta l'ingresso nel cast, nella parte del miliardario Lionel Twain, dello scrittore americano Truman Capote (nella sua prima e unica apparizione cinematografica), che con ironia se la cava dignitosamente. Anche il regista Robert Moore, veterano di Brodway, è al suo felice debutto sullo schermo,coadiuvato per l'intera lavorazione dall'onnipresente sceneggiatore Neil Simon.

C'è da aggiungere che il film in lingua originale è ancora più divertente, la traduzione del doppiaggio purtroppo ha smarrito alcune gag esilaranti (come il gioco di parole tra wing e wang) e la recitazione di Peter Falk con inflessione italiana (stessa perdita con il K. Klein di "Un pesce di nome Wanda"). Il contributo concreto, anche se non tangibile, della scrittrice Agata Christie al film è talmente percepibile, che gli autori in un primo momento pensarono di inserire la sua copia fra i personaggi con lo pseudonimo di Abigail Christian e offrire la parte all'attrice Katherine Hepburn, ma successivamente la eliminarono dalla sceneggiatura e la sostituirono con quello della anziana infermiera di Jessica Marbles , interpretata da Elsa Lanchester.

Quando il film uscì, contrariamente alle aspettative dell'autore, ebbe straordinari consensi di critica e di pubblico.
Ancora oggi, dopo trent'anni è un eccellente esempio di umorismo sagace ed elegante, mai gratuitamente scurrile, anche autoironico con una finale strizzatina d'occhio al suo pubblico.
Peccato resti un cultmovie di "nicchia".

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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 10/07/2007

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