Recensione volver regia di Pedro Almodovar Spagna 2006
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Recensione volver (2006)

Voto Visitatori:   7,51 / 10 (174 voti)7,51Grafico
Voto Recensore:   8,00 / 10  8,00
Miglior sceneggiatura (Pedro Almodóvar)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior sceneggiatura (Pedro Almodóvar)
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locandina del film VOLVER

Immagine tratta dal film VOLVER

Immagine tratta dal film VOLVER

Immagine tratta dal film VOLVER

Immagine tratta dal film VOLVER

Immagine tratta dal film VOLVER
 

Dopo due anni dal suo annuncio, finalmente torna a meravigliarci un grande Almodòvar, che con "Volver", il suo sedicesimo lungometraggio, ci regala una storia sorprendente per l'originalità e la sensibilità con cui è narrata. Pedro abbandona il noir duro della Mala educacion per tornare alla commedia drammatica (ossimoro tutto almodòvariano); lascia il mondo maschile dei suoi ultimi due film per riabbracciare l'universo femminile dei primi; tralascia il tono cupo e cinico per riproporre la narrazione vivace e allegra di un tempo, arricchita da profonde pennellate struggentemente malinconiche, tratteggianti una realtà mai scevra da stoccate tipiche dello stile grottesco e surreale che gli è proprio.

E' ormai una conferma: nessuno sa raccontare le donne come Almodòvar, e non si dica che tanta sensibilità deriva dal suo essere omosessuale. Luogo comune fra I più odiosi. Semplicemente Pedro ha lo straordinario talento di cogliere dell'anima femminile ciò che è invisibile ai più, di raccontare con incredibile intensità ciò che a volte pare estraneo persino alle donne stesse, di meravigliare con le sue profonde intuizioni relative ad un universo così complesso: il regista celebra la donna, la comprende, la ama sinceramente.

A ben guardare persino I temi trattati in Volver sono tutti sostantivi femminili: LA famiglia, LA maternità, LA solidarietà, LA amicizia, LA morte.. E femminile è anche la provincia spagnola dell'infanzia, la meseta de La Mancha, la terra di Pedro bambino, descritta in modo sublime, il colore ocra dei campi in contrasto con il bianco delle case, percosse dal vento caparbio dell'est, a cui la tradizione popolare attribuisce la follia e la morte degli abitanti di quella terra.

Il suo è un ritorno dell'anima al passato, alla sua Mancha sonnacchiosa, alla vita di provincia che scorre a ritmo indefinito nelle case prospicienti I patios, alla cui ombra Pedro bambino andava a sedersi per ascoltare incuriosito I discorsi delle donne della sua infanzia, quel gineceo che ripropone periodicamente nei suoi film migliori. Una Spagna rurale di altri tempi, dunque, che conserva tuttavia I suoi valori, la solidarietà ad esempio, la premura verso il prossimo, il rapporto naturale con la morte, motivo centrale del film. Appartiene alla cultura manchega il rapporto cordiale con l'ineluttabile destino, il proseguimento del legame con il caro estinto. La bellissima sequenza iniziale in cui le donne puliscono e curano le tombe rivela nei gesti semplici e quotidiani una emotività forte, la convivenza con il dolore, la condivisione corale del lutto, non angosciante però, perché la morte è qui mostrata come qualcosa di naturale. Sembra ovvia questa affermazione, non lo è oggi in una società che si ostina pervicacemente a rimuovere la fine, una cultura in cui predomina l'accanimento alla vita e la corsa all'eterna giovinezza. E' l'Almodovar più intimo che qui si rivela, confessa la sua paura della morte, come scomparsa di tutto ciò che è vivo, cerca di esorcizzarla e con tocco sublime ci offre l'omaggio più viscerale all'amata madre, scomparsa da poco (già ricordata nello splendido ritratto dell'unica figura femminile apparsa in "La mala educacion") e qui sublimata nel personaggio della madre fantasma, Irene, interpretata con straordinaria bravura da una splendida e ritrovata Carmen Maura. Il suo personaggio emoziona dal suo primo apparire in scena, un fantasma che interagisce col mondo reale senza effetti speciali, alla Buniel, per intenderci, spettri evocati che appartengono al reale e con il reale si rapportano con naturalezza. Una madre onnipresente come lo sono sempre gli affetti perduti, che consola e segue con amorevole trasporto chi è rimasto ad affrontare con coraggio le inspiegabili contraddizioni della vita. Il sentimento materno, già espresso con toni drammatici in "Tutto su mia madre" qui abbandona il tono cupo e disperato del lutto e dell'assenza, per sublimarsi nell'eterno rapporto tra madre e figlia, commovente elogio almodòvariano alla maternità.

La memoria, altro sostantivo femminile, entra di prepotenza nella storia già dal titolo, "Volver", ritornare. Il passato stesso riemerge per risolvere ciò che è rimasto sospeso o irrisolto, la trama del film è circolare, tutto finisce dove la storia ha inizio, I misteri e I drammi delle protagoniste approdano finalmente ad un porto sicuro nel momento stesso in cui I conti con il passato sono risolti, pur in un finale quasi sospeso che lascia le storie ancora aperte.

Commuove il legame femminile tra le tre generazioni di donne, protagoniste della storia, imbastito tra complicità e amore; commuovono e inorgogliscono la forza e l'intelligenza con le quali le umili donne affrontano la dura vita della squallida periferia madrilena, barcamenandosi tra lavori abusivi e soluzioni improvvisate e temporanee, tra menzogne e ribellioni alla prepotenza e agli egoismi maschili; problemi superati con solo apparente leggerezza, grazie alla forza interiore, all'amicizia e alla solidarietà tipicamente femminili, che qui il regista torna a celebrare dopo "Tutto su mia madre". Gli uomini sono assenti oppure presenze insignificanti, mai Almodòvar è stato così duro con loro, pensare che uno dei migliori personaggi della sua filmografia è proprio un uomo, il Benigno di "Parla con lei", sensibile, fragile e intelligente, lontanissimo dal macho mediterraneo, davvero maltrattato in questo film. Dove risaltano invece le figure femminili, tutte magnificamente interpretate; come un demiurgo il regista le guida affettuosamente sapendo bene come valorizzare ciascuna. In particolare si concentra sulle sue due chicas preferite: la Cruz e Carmen Maura, offrendo la possibilità ad entrambe di esprimere il meglio di sé come artiste. Alla Cruz restituisce le radici, dopo il fallimentare salto hollywoodiano, convincendola che solo nella sua terra può esprimersi al massimo. Ne esalta la bellezza mediterranea ispirandosi alle nostre attrici più sanguigne, la Loren e la Magnani del nostro cinema neorealista. Della Loren ricalca l'aggressiva e sensuale presenza nell'andatura decisa e fiera, nelle generose forme femminili, nel trucco marcato e nell'acconciatura, alla Magnani offre uno struggente omaggio al ruolo di madre latina e combattiva inserendo in "Volver" uno spezzone, per nulla casuale, tratto dal film "Bellissima".

Infine lo stile di Almodòvar, personalissimo e mai ridondante, sobrio e suadente, ironico e surreale, dolce e grottesco, incantevole nel giocare fra atmosfere diverse se non addirittura opposte, saltando dal comico al dramma, dal noir al melò senza mai rompere l'armonia interna del film.

Con "Volver" il regista sembra avere abbandonato le tinte forti dei primi lungometraggi per colori più tenui, salvo qualche pennellata di rosso, seguendo un suo intimo percorso di vita e di pensiero che approda sempre e comunque alla sua passione più grande, il cinema, a cui ha dato tanto e da cui ha ricevuto moltissimo.

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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 22/05/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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