Recensione wolf creek regia di Greg McLean Australia 2005
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Recensione wolf creek (2005)

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locandina del film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK

Immagine tratta dal film WOLF CREEK
 

La situazione è questa: in oriente si sfornano degli ottimi horror, davvero eccellenti, che hanno il solo effetto collaterale di far ridere come ossessi i nostri ragazzi al cinema, non appena scoprono con immenso stupore che il protagonista si chiama Katsura (che con le sue belle consonanze evoca di solito la parte del corpo con cui si tende a giudicare tali fenomeni).
Poi c'è l'America, che ostenta con orgoglio i suoi horror-thriller-chiamateli-come-volete che stanno lì a dimostrarci il grado di lobotomizzazione a cui è giunto il popolo dei blockbuster. Infine c'è l'Europa, ma forse è meglio che l'Europa continui ad appellarsi alla sua grande tradizione di cinema d'autore e sforni di tanto in tanto qualche Argento, giusto per tener su il catalogo, e capirai con quale onore.
E ora se ne esce l'australia con "Wolf Creek", un gioiellino davvero inatteso che piuttosto di inseguire i fasti del cinema americano odierno si riallaccia alla succulenta tradizione dei '70s.

Certo, l'impianto strutturale è quello di Tobe Hooper; da "Non aprite quella porta" lo stereotipo è ormai tracciato, ma una cosa è riprendere lo schemino e cambiare nomi ai personaggi ("Wrong turn"), una cosa è infondere al film una propria personalità, cercando di distinguersi in regia e magari facendo affidamento ad attori che proprio scarpe non siano.
Greg McLean prende un soggetto suo, che sa benissimo esser tutto fuorchè originale, ma essendo dotato evidentemente di una certa dose di saggezza e di personalità evita i grossolani errori dei suoi predecessori. Non solo: la suggestione di certi luoghi è davvero invidiabile, e contribuisce a dare al film un'aura naturalistica che ben si sposa al clima selvaggio che vivremo per circa due terzi della durata del film. Impossibile non farsi venire in mente il primo Weir; del resto da quelle parti lo stridere fra civiltà e natura è da sempre particolarmente sentito (e grazie, con tutto quel deserto uno la croce se la fa...).

La trama, come già detto, è di quelle che di certo non incoraggia alla visione, e a raccontarla per sommi capi non appare davvero nulla di anche minimamente originale. Due ragazze inglesi fanno comunella con un ragazzo di Sidney per una vacanza di tre settimane. Una sorta di viaggetto on the road, che ha come una delle mete il cratere del wolf creek, in cui cadde un meterorite dalle gigantesche dimensioni. In questa prima parte un po' di ufologia spicciola aleggia; quando i ragazzi tornano dal cratere scoprono di avere tutti gli orologi fermi e la macchina, ovviamente, in panne. Finchè nella notte arriva un curioso personaggio...
Qui il film devia completamente e inizia ad essere horror. Il che è un sollievo, perchè il regista purtroppo non riesce ad evitare il solito incipit che ci mostra l'allegra combriccola divertirsi come non mai, in modo che tale ricordo contrasti con la piega degli eventi futuri, facendoci così maggiormente partecipi del dramma sviluppatosi nel contempo.
Sarebbe ora di finirla con tale rituale che sa più di liturgia del film horror da manuale per deficienti, piuttosto che una seria esigenza.
Chi l'ha detto che dovremmo sentirci maggiormente partecipi delle tragedie altrui se prima abbiam partecipato ad uno spaccato di vita gaia e spensierata? A volte l'immissione di personaggi senza storia passata che hanno come unico scopo quello di essere simulacri dell'orrore che li circonda è maggiormente efficace. "Cube" è angosciante non poco, e nulla viene detto dei protagonisti.

Ma aldilà di questi particolari (che vanno comunque fatti notare per dovere d'obiettività) il film ha alcune frecce al suo arco che altri si scordano.
Innanzituto la recitazione, davvero buona. Anche il belloccio di turno riesce a sembrare simpatico, e per una volta non si desidera che muoia spiaccicato entro la fine dei titoli di testa. Grande, grosso, muscoloso e tatuato ma in realtà pavido, come dimostra la sequenza della "gang band". Fa più tenerezza che altro; e le ragazze non son meno valide, recuperando quel tocco di mascolinità negata all'uomo.
Ci dobbiamo anche sorbire un accenno di storiella sentimentale, ma qui non annoia e non viene recepita come estranea alla vicenda; la recitazione dei due è assolutamente convincente, tutto fuorchè impostata; guardare la sequenza in cui si baciano per la prima (e unica) volta.
E a proposito di recitazione non impostata finalmente un film in cui i personaggi si comportano in maniera realistica, e quando la situazione lo richiede, autenticamente imbarazzata. La breve sequenza in cui il ragazzo saluta il benzinaio non vuol dire assolutamente nulla, con i due che sono uno di fronte all'altro, sorridendosi senza dire nulla (modello ascensore) è più eloquente di chissà quali mirabolanti dialoghi impostatissimi che nulla fanno se non straniare lo spettatore dal racconto.
Sono dettagli che paiono scemi e frivoli, ma è anche vero che son dettagli che contribuiscono al realismo di uan vicenda.

Perchè quando assistiamo ad un "Jigsaw" qualsiasi che filosofeggia ci rendiamo conto effettivamente di essere di fronte ad un filmetto finto e di plastica; l'immedesimazione non può scattare, perché percepiamo quello che accade al di là dello schermo come effettivamente artificiale, in cui nessun personaggio agisce razionalmente, come effettivamente faremmo noi.
McLean ci presenta la sua storia non originale con un netto taglio documentaristico che chiaramente molto incide sulla regia; la camera a mano regna, come una fastidiosa intrusione di un voyeur onniscente ed onnipresente. L'istanza narrante qui si fa davvero intrusiva all'eccesso: non mostra i particolari della vicenda con estremo virtuosismo o cercando l'inquadratura più stilosa, ma si incarna nell'idea di camera come "buco della serratura" portando all'eccesso il concetto.
Questo non vuol dire che ci siano inquadrature "brutte"; una ricerca stilista c'è, ma non si identifica unicamente con la ricerca meramente estetica. Questa regia molto personale unita all'efficienza della recitazione fa nascere un fattore di credibilità mica male; per una volta si partecipa al dramma dei ragazzi con lo stomaco, non con gli occhi.
E il momento delle "torture" (chiamiamole così) è davvero un qualcosa di psicologicamente forte, difficile mettersi a ridere. L'angoscia tanto decantata da altri film (e chiaramente assente) è qui particolarmente palpabile e fastidiosa.

Da quando la ragazza si sveglia legata il film piomba in uno stato di neritudine da cui non si uscirà nemmeno con le ultimissime sequenze, riprese col fondo di uno spettacolare cielo azzurro. Da metà film non c'è speranza, non c'è riscatto. McLean non fa sconti a nessuno, e fareste meglio a non affezionarvi troppo ai personaggi.
Sta di fatto che "Wolf Creek" ha cattiveria a palate, e si mangia a colazione dieci "Hostel" di fila.
Riflettete su questa cosa; alle roboanti dichiarazioni di Tarantino e di Roth non è seguito nessun dato di fatto. I due se ne sono usciti con un film oggettivamente ridicolo, che fallisce proprio dove la coppia l'aveva spinto: nel territorio dell'horror e dello splatter.
Da questo punto di vista "Hostel" è un film ridicolo come pochi, che non spaventa nemmeno un boyscout. Non ci credete? Paragonate la sequenza in cui in entrambi i film volano via delle dita. Se lo consideriamo come un "American pie" con 6 centilitri di sangue allora può anche funzionare, ma "Hostel" davvero fallisce in modo esemplare, mancando il bersaglio di svariati chilometri.

"Wolf creek" è uscito in un silenzio quasi imbarazzante, quasi in sordina, quasi a dover chiedere il permesso di essere distribuito. E in effetti anche al cinema dargli un'occhiata non era semplicissimo, e già allora la cosa mi parve un buon segno.
La morale è questa; ci lamentiamo tutti dello stato in cui versa l'horror?
Allora proviamo a fare qualcosa di semplice; non crediamo a chi ci promette miracoli di nessun tipo, non crediamo a chi ci dice che il suo film "x" è il più spaventoso dai tempi di "Shining".
Cerchiamo di evitare i remake di horror girati solo due anni prima, boicottiamo i film di chi si autoelegge erede naturale di Lynch.
Cerchiamo di dare spazio agli horror che sappiamo resteranno al cinema due settimane al massimo. Continuando a foraggiare il mercato dell'horror di plastica retto solo dal nome di un Tarantino a caso daremo l'impressione ai produttori e distributori che quello che ci propinano è quello che vogliamo.
Poi la scelta sta a voi, perchè in fin dei conti ci sorbiamo ciò che meritiamo.

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Recensione a cura di cash - aggiornata al 15/03/2006

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